martedì 26 febbraio 2013

CHIUSURA TEMPORANEA BLOG


La buona notizia è che ho trovato lavoro. Da Giovedì, infatti, sarò imbarcato sul peschereccio Angelica Star, direzione Cape York e Stretto di Torres, come Forrest Gump, impegnato nella pesca dei gamberi.
La cattiva notizia è che, dovendo stare per 8-10 settimane (questo è il programma iniziale) in mezzo al mare, senza mai attraccare a terra, non avrò più una connessione a internet per aggiornare il Blog.
Con gli ultimi due post pubblicati oggi, vi do appuntamento alle idi di Maggio, quando tornerò sulla terra ferma, con un’altra esperienza incredibile da raccontare.
Grazie per le quasi 9000 visite raggiunte in questi 7 mesi!

A presto!

GabTheKangaroo

Infondo al mar...


C’è un posto nel mondo dove tutto smette di parlare, dove ogni suono perde ogni direzionalità e diventa obsoleto, dove il respiro si amplifica e il corpo diventa improvvisamente leggero. Non sono le montagne del Tibet, non è il centro della meditazione o dell’essere, ma è semplicemente il mare.
E dire che quando indossi per la prima volta la CBD (il giubbottino-salvagente) con la tank di ossigeno a 200 bar sulla schiena, a bordo piscina, tutto penseresti tranne che ti sentirai leggero. E quando per la prima volta metti la testa sott’acqua e il respiratore amplifica il tuo respiro e la maschera lentamente si incolla al tuo viso, schiacciandoti sempre di più il  naso, non penseresti mai che diventerà così naturale passare un’oretta sommerso in un liquido.
Il diving fin dalla sua prima e fondamentale regola è basato proprio su questo: non smettere mai e per nessuna ragione di respirare costantemente. Il perché è molto semplice: i polmoni sono sacche elastiche che reagiscono all’aumentare della pressione esterna rimpicciolendosi e al diminuire espandendosi. Il respiro costante serve, con altri piccoli accorgimenti, come per esempio il non ascendere più velocemente di 18m al minuto (l’esatta velocità della più lenta bolla d’aria espirata dalla tua bocca), a fare in modo di evitare la violenta espansione dei polmoni, che come tutti gli elastici soggetti a una dilatazione troppo forte e improvvisa, possono subire gravi danni.
Lo si capisce meglio nei piccoli esperimenti fisici che si fanno nella lezione di deep diving, nel corso avanzato. Il limite di immersione per il brevetto PADI di primo livello, open water, è 18m di profondità. Il corso avanzato ti porta fino a 30m, e per andare oltre, in teoria, ci vogliono lezioni specializzate che ti portano fino a 40m. 42m dovrebbe essere il limite per il recreational diving, oltre ci vogliono attrezzature specializzate e bombole in cui compare una certa percentuale di elio. 
Ecco l’esperimento. A 30 metri di profondità si porta una bottiglia vuota di plastica e la si schiaccia completamente per far fuoriuscire tutta l’aria, un po’ come prima di buttarla nel cestino della spazzatura. Salendo lentamente, la poca aria rimasta inizia a espandersi lentamente, fino a che, arrivati in superficie, le pareti della bottiglia sono così dilatate che sembrano essere sul punto di esplodere.
A 30 metri, infatti, la pressione è 3 volte quella in superficie. Nonostante gli effetti sul corpo in acqua si sentano relativamente, guardando il proprio barometro che monitora la situazione dell’aria residua, si può notare che i valori cambiano rapidamente: la stessa quantità che in superficie durerebbe 60 minuti, a trenta metri ne dura 20. Il fatto di respirare aria più concentrata porta a due rischi non indifferenti: la narcosi da ossigeno e l’intossicazione da nitrogen.
La percentuale di gas in una bombola di subacquea normale è 21% ossigeno e 79% Azoto.
Ad ogni immersione il corpo assorbe una quantità di Azoto che sotto certe quantità non è dannosa e viene smaltita dal corpo normalmente in poche ore. Quando però la quantità di nitrogen (questo è il nome inglese) inizia a diventare elevata, questa viene assorbita dai tessuti e al diminuire della pressione crea delle bolle pericolose nel circuito sanguigno che possono causare serie conseguenze. Da qui nasce la necessità di non fare troppe immersioni consecutive e di cercare di non superare una certa soglia di tempo chiamata no decompression limit. Per aiutare l’eliminazione del nitrogeno in eccesso si  consiglia alla fine di ogni immersione di effettuare, prima di terminare una immersione, una safety stop a 5 metri per 3 minuti.
Molto più divertente la narcosi da ossigeno che, come una droga, porta un certo stato di euforia e di spregio del pericolo. Molti divers si ritrovano così a togliere il proprio respiratore dalla propria bocca e cercare di infilarlo in quella dei pesci, ovviamente con scarsi risultati. Per quanto non sia dannosa in sé, non essere lucidi sott’acqua comporta molti rischi.
Il diving nonostante non sia considerato uno sport estremo, è un’attività da svolgere sempre con la testa e con il buddy-system, una specie di mantra ripetuto milioni e milioni di volte nel corso che significa semplicemente che bisogna sempre stare vicino al proprio compagno di immersione, in modo da avere sempre un aiuto a disposizione.
Ma per fortuna l’esperienza non si limita a un banco di scuola. Queste righe abbastanza pedanti sono state scritte per dare un’idea dei primi 2 giorni di training: video datati, lezioni teoriche e piscina, più attenti alla pratica che al divertimento.
Ma appena i tuoi piedi si immergono nell’oceano….

L’uomo è l’animale marino più strano in assoluto: produce continuamente una colonna fittissima di bolle, ha due pinne gigantesche solo sulla coda, un corpo sottile e due enormi occhi di vetro. Così dobbiamo apparire là sotto, suscitando a volte curiosità, a volte paura, a volte aggressività da parte dei normali inquilini, a cui ci dimentichiamo sempre di chiedere permesso. Ma al contrario di ciò che si pensa nella barriera corallina gli squali hanno paura dell’uomo, mentre i piccoli clownfish Nemo, invece, nonostante passino gran tempo a nascondersi dentro i coralli anemoni (da qui prendono la loro appartenenza agli Anemoni Fish) se si indispettiscono, diventano aggresivi e iniziano a tirare testate contro le maschere dei sub.
Anche i pesci pappagallo sono abbastanza ostici se uno entra nel loro territorio, ma a parte attaccarsi alla pinne, mordicchiando la loro plastica, non rappresentano una vera minaccia.
Il mondo marino è infondo un posto dove ognuno si fa un po’ i fatti propri, girovagando qua e là, sgranocchiando a volte qualche corallo per succhiarne l’alga che ne vive all’interno in simbiosi, oppure sdraiandosi comodi comodi come le tartarughe marine, aspettando che i piccoli pesciolini-spazzino, con un po’ di solletico, ti ripuliscano meglio dei fanghi o delle maschere di bellezza di una Spa. Se ci si avvicina lentamente e ci si lascia trattare, si può anche avere una perfetta manicure gratis!
Che belle le tartarughe marine! Animali così eleganti e pacifici, con il loro sguardo severo e il loro incedere lento di chi ha la saggezza di conoscere la longevità assoluta della propria vita. C’è chi racconta di averle cavalcate, aggrappate al loro guscio. Per le dimensioni di alcune sarebbe assolutamente fattibile, ma il problema è acchiapparle: l’uomo è di gran lunga troppo lento in acqua.
E poi perché affrettarsi?! Il modo migliore per vedere un sito, per godersi la vita, i colori, i milioni di avvenimenti che prendono luogo in quel silenzioso angolo di paradiso è fermarsi, congiungere le mani al petto e sbattere le pinne giusto per non finire orizzontali.
Così facendo se non altro si consumerà meno aria e l’aria lì sotto è uguale al tempo, e il tempo, mai come là sotto, è oro.
Il respiro governa ogni incedere. Dopo aver trovato la tua buoyancy (cioè il tuo equilibrio di galleggiamento, la cosa più difficile da imparare), infatti, se si vuole andare un po’ più in basso basta soltanto espirare più forte. Tutto sta nel trovare il giusto equilibrio, trovare il modo di essere il più vicino possibile, senza franare addosso alle montagne di coralli.
Nelle tantissime emozioni provate in quei 3 giorni di viaggio in barca la cosa più elettrizzante è stata sicuramente l’immersione notturna.
Nick de Gabriele (che altro nome poteva avere il mio istruttore!) aveva fatto spegnere tutte le luci della cabina e ci stava mostrando i piccoli stick di plastica fosforescenti che dovevamo legare alla nostra bombola per fare in modo di essere sempre visibili nell’oscurità. Noi sei, tutti alla prima immersione notturna, eravamo lì intenti ad ascoltare le istruzioni.

“Procederemo a coppie, io davanti aprirò la fila e vi farò da guida. Ora è assolutamente sicuro che vedremo degli squali. Mi raccomando state uniti. Di solito sono animali tranquilli, ma può accadere che inizino a diventare territoriali e allora potrebbero attaccare”. Ci guardammo tutti negli occhi, le palpebre dilatate dal brivido di paura.
“Gli squali di solito hanno paura del gruppo, ma attaccano i singoli. Cosa fare se qualcuno riceve un attacco da uno squalo? Prima di mordere loro ti colpiscono con le loro pinne di per cercare prima di allontanarti (“Che gentili, eh!”). Se qualcuno dovesse venrie attaccato da uno squalo lo faccia subito presente e sopravanzi la fila in modo da ritrovarsi in mezzo al gruppo”. La faccia di tutti da emozionata si era trasformata in quella tipica di “chi me l’ha fatto fare!”
“Ma gli squali, purtroppo, prendono di mira e se iniziano ad attaccare qualcuno, di solito, lo selezionano come target privilegiato. Quindi se venite attaccati per la seconda volta, ci metteremo tutti in formazione, creando un cerchio protettivo per il malcapitato. Se dovesse attaccare per la terza volta e la situazione si facesse così pericolosa, allora io accompagnerò subito, immediatamente, la persona in superficie. Chiaro?”
Gulp. Chiaro sì, ma in acqua, al buio, attaccato da uno squalo. Qualcuno rideva nervosamente cercando di allentare la tensione, qualcuno iniziava a divorarsi le unghie, io guardavo gli stick fluorescenti cercando nella mia mente di ripassare le contromosse che ci erano ancora state spiegate, pianificando un modo per non rimanere mai l’ultimo della fila.
“Ora, “concluse Nick “ mi sembra chiaro che quello che ho detto sono tutte balle!”

E in effetti, per quanto l’acqua fosse piena di squali attirati dai pesci che si erano radunati attorno alla luci della barca, siamo stati letteralmente snobbati. C’è da dire che gli squali grigi della barriera corallina, per quanto i più lunghi arrivino a 3 metri e per l’effetto ottico di ingrandimento in acqua assumono dimensioni considerevoli, sono solo i piccoli cuginetti dei grandi white sharks, assenti in queste acque troppo calde per loro. (Se li volete trovare dicono che La Manica ne sia piena, in quanto la temperatura per loro ideale è di 17 gradi. Qui eravamo in media a 29). Ma la prima volta che sei in acqua con un branco di squali affamato a pochi metri che rincorrono veloci come saette le loro prede, una famosissima musichetta di due note intervallate da un semitono ti fa correre i brividi lungo la schiena e ti sento tutto, fuorché al sicuro.

Impressioni della mente, come la lattina di Coca-Cola che perde il suo colore rosso, diventando blu scuro nella profondità del mare: i colori, infatti, spariscono progressivamente con l’aumentare della profondità, e il rosso ne è la prima vittima. Là sotto funziona all’incontrario: colore non è sinonimo di bellezza, ma di veleno e di pericolo, ed è una mera questione di sopravvivenza e non di estetica a fornire alla vita subacquea dei primi 30 metri la sua proverbiale bellezza.

FOTO: http://www.facebook.com/media/set/?set=a.313193598783484.50577.294967610606083&type=3

Robe da ostello


Gli ostelli della East Coast australiana, tralasciando quelli delle grandi città come Sydney e Brisbane che per ovvie ragioni di spazio presentano qualche caratteristica differente, sono delle piccole strutture di lusso in termini di backpacking: piscine, campi da beach, pub interni, bellissime sale tv e punti di ritrovo e agenzie di viaggio interne con tantissimi sconti e numerosissime attività. Un lusso che arriva a costare sempre sopra i 20 dollari a notte, fino a 28-30 nei casi più eccezionali.
Io, però, non ero abituato alle camerate da 8, 16 letti, alle stanze di gente assolutamente sconosciuta proveniente dalle parti più disparate del pianeta, ai centinaia e centinaia di incontri diversi notte dopo notte… 
Spesso chi, come me, non ha mai fatto prima una lunga esperienza di viaggio all’inizio dell’avventura è un po’ diffidente e ha con sé qualche dubbio, del tipo:

Problema numero 1: riuscirò a dormire?
In un contesto dove ognuno arriva e parte in giorni diversi, in cui decine di pullman coprono una lunghissima fascia oraria e l’ubriacatura è all’ordine del giorno, non è assolutamente possibile svegliarsi o addormentarsi tutti contemporaneamente in una stanza.
O meglio se ti trovi con i deficienti della camerata da 16 letti con un solo bagno di Noosa, che si sono svegliati alle 6 del mattino cantando felici e spensierati perché stavano andando a Fraser Island, svegliarsi tutti insieme non è poi così difficile.
Ma in generale non è semplice, soprattutto nei primi tempi quando non si è abituati, non aprire le ciglia neanche una volta da quando ci si corica a quando ci si vuole alzare la mattina dopo, con le sveglie dei cellulari a loop, le porte che sbattono e il vicino coi piedi puzzolenti che russa.

Problema numero 2: dove fornico?
L’ostello a livello biologico è un concentrato a livelli di ormoni. Soprattutto qui nell’estate australiana, tra i vestiti sempre più piccoli delle ragazze, che sopra i sederi mezzi scoperti, sulla schiena, sembrano avere scritto “cerco maschio per copulata notturna” e tra i surfisti in canottiera e cappellino appena passati dal marmista per farsi ripassare il busto alla greca. Insomma in una atmosfera dove ognuno ha da che bearsi gli occhi e dove il sesso è considerato da entrambe le parti qualcosa che è meglio non restare senza per troppo tempo, il fatto di essere in una camerata con tante persone può costituire un problema. Oppure no.
Bianco e Damon, i due ragazzi di Rimini che in questi giorni un po’ incerti mi hanno fatto sentire un po’ più a casa con qualche risata e il gelato del McDonald da 30 centesimi, sono finiti nel vecchio e caro Gilligans, l’ostello-albergo-party house di Grafton Street, qui a Cairns.
La fortuna gli ha messi in camera con una spogliarellista professionista, ma la sfiga gli ha anche appioppato un idiota di dimensioni bibliche, che chiameremo qui per semplicità e vena umoristica maschio alfa.
Alle due di notte il maschio alfa torna in camera ubriaco marcio con la sua polla. Lui dorme nella parte alta del letto a castello: troppo difficile in quelle condizioni salire lì sopra. Ok, allora vada per il balcone. Dopo aver svegliato mezza stanza nel goffo tentativo di farsi largo tra le valige, il nostro eroe arriva a destinazione, dove inizia qualche preliminare tattico-culinario con la sua ragazza in completa privacy: in balcone, appunto, e con le tende spalancate
Nonostante non sia così comune negli ostelli imbattersi in scene hard dal vivo, può capitare a uno o due metri di fianco dal tuo letto o sopra o di sotto, accompagnato da sinistri cigolii e rumori che puntualmente finiscono per invadere la tua riluttante attenzione.
Così, dopo 10 minuti di spettacolo, il maschio alfa torna in camera per prendere il preservativo e completare il lungometraggio. Ma ahimè, ha la brutta idea di inginocchiarsi a terra per cercare nella sua valigia. Sarà stata probabilmente la birra, la vodka o il rum ad aver dato un impulso gravitazionale eccezionale, fatto sta che la testa gli si fa pesante, e in un secondo è secco, disteso sul pavimento a russarsela alla grande!
E Lei? lei è ancora mezza nuda sul balcone. Ancora per altri dieci minuti, finché non realizza che il proprio cavaliere ci sta mettendo un po’ troppo per tornare indietro. Allora entra in camera e vede nel primo letto sulla sinistra che le coperte avvolgono una figura girata di spalle. Lentamente e dolcemente lei ci si accoccola vicino. Ma, sorpresa! Era la spogliarellista!
La confusione di letti è un fenomeno abbastanza diffuso negli ostelli, per questo è sempre meglio, in ogni caso, mettere occupare il proprio il più possibile con una valigia o quant’altro, per evitare spiacevoli sorprese.
Un consiglio per chiudere: sempre meglio usare le ciabatte quando si va a fare la doccia...

Problema numero 3: dove mangio?
Gli ostelli australiani sono molto organizzati. Ognuno ha una grandissima cucina, fornitissima di pentole di ogni genere e grandezza, piatti, coltelli, forchette e frigoriferi in comune dove ognuno si fida a lasciare la propria spesa (sono rarissimi i casi in cui sparisce qualcosa).
Sopra il lavandino, praticamente dappertutto, si può trovare appeso un cartello che recita più o meno “Siamo spiacenti, ma vostra madre non lavora qui. Pulite ciò che avete usato dopo mangiato”.
E anche lì le cose funzionano abbastanza bene. Certo, capita di trovare qualche forchetta ancora incrostata o qualche pentola dall’odore non molto gradevole, ma non si può dire che la nuova generazione non sia in gran parte, almeno a livello globale, educata.

Problema numero 4: L’ostello è sicuro?
Tendenzialmente si. Ogni posto in cui ho dormito era dotato anche di una cassaforte o di qualcosa di simile alla reception, dove si potevano lasciare gratis i propri beni di valore. Anche se, c’è da dire, nessuno chiede il documento al ritiro e sicuramente se qualcuno andasse alla reception e pretendesse di avere un qualunque laptop nella cassaforte non sarebbe poi così difficile andare via con un bel malloppo. Ma forse questo è un tipico italian-pensiero: noi italiani siamo troppo abituati a pensare e a stare all’erta a tutti i modi in cui ci possono “fregare”. Così soprattutto, i primi tempi, non mi fidavo troppo. Ci sono volute un paio di settimane per rilassarmi un pochettino di più da questo punto di vista. Ma mai nulla di spiacevole è successo né a me né alla gente che ho incontrato.

Problema numero 5: finirò in una topaia?
Puliti come degli alberghi, ogni volta che qualcuno lascia la camera il servizio di housekeeping rifà i letti cambiando tutte le lenzuola e pulendo la stanza per bene. L’unico problema qui, in un paese brulicante di stranissime forme di vita come l’Australia, è quello dei “bed bugs”, piccoli animaletti che hanno dei morsi urticanti e si annidano nei materassi. Per evitare il problema è proibito portare sacchi a pelo o proprie lenzuola in camera, ma a volte è capitato di svegliarsi con dei segni rossi sulle braccia e sulle gambe e non capire fosse stata qualche zanzara in versione splinter cell o qualche strana e piccola bestiola.

Problema numero 6: Molti forse vorranno sapere: come è finita con la spogliarellista?
Lei ha iniziato a insultare a raffica la povera ragazza, che non sapendo cosa dire affermava che stava solo cercando la borsa. Il ragazzo ha dormito tutta la notte sul pavimento per poi spostarsi la mattina a dormire sul letto di Bianco.
“Se fosse stato qui una notte in più l’avrei buttato fuori a calci nel sedere” così ha commentato irritato, ma infondo divertito dal raccontare tutta questa storia, il mio malcapitato amico.

giovedì 21 febbraio 2013

Chi guiderà la rivoluzione?


Il post che segue nasce da una riflessione fatta dopo varie chiacchierate con tanti ragazzi italiani che ho incontrato qui. In questo senso fa parte del racconto di un viaggio. Mi scuso per essere andato leggermente fuori tema, ma non potendo votare, questo è l'unico modo di esprimere la mia opinione...

La politica e la situazione italiana attuale sono uno dei primi argomenti che saltano fuori ogni volta che qui in Australia si incontra un qualunque connazionale. E, raccogliendo tutte le opinioni scambiate in quasi 7 mesi di viaggio, a pochi giorni dal voto sembrano non esserci dubbi tra i backpackers italiani su chi  dovrebbe vincere le prossime elezioni: la rivoluzione.
Nessuna strada orami, infatti, sembra più credibile, nessun uomo politico più affidabile. D’altra parte Pd e Pdl già dal nome rivelano il loro carattere tutt’altro che mellifluo: non sono altro che abbreviazioni delle più comuni bestemmie della lingua italiana che attribuiscono a Dio caratteristiche volgarmente suine.
Molti hanno una certa fiducia in Grillo, è vero, ma infondo pensano che sarà veramente difficile per lui cambiare il sistema. Così tutti dicono “ci vorrebbe una rivoluzione!”

Dividi et impera dicevano i saggi latini. Quanto tempo saremmo disposti a stare uniti tutti insieme in una piazza, lasciando le nostre case, i nostri lavori, i nostri studi, fermi lì, sotto la pioggia, il vento, la neve e la tempesta di poliziotti?
Ognuno con il suo lavoro da salvare, la sua famiglia, i propri esami e i propri interessi, il proprio piccolo angolo pseudo-felice che bene o male funziona e di cui ci si può accontentare. Quanto sareste disposti a stare in una piazza, a mettere a rischio il vostro futuro, a sfidare la prigione o gli occhi severi dei poliziotti con i vostri sogni e le vostre lacrime?
Si dimostra per un giorno, si manifesta per qualche ora e poi entro notte si è tutti tranquilli nella propria casetta. Dall’alto delle finestre del palazzo, mentre voi perdete la salute delle vostre corde vocali e consumate le suole delle vostre scarpe, ci si abbuffa tranquillamente, alzando giusto di un poco il volume della televisione, per togliere quel fastidioso ronzio.
Non dico sia sbagliato pensare al proprio piccolo, Francia o Spagna purché si magna! Questa è l’Italia, ciò che ci rende imprevedibili e così diabolicamente geniali.
Ma esistono rivoluzioni che si fanno in un giorno?
Danton e Robespierre ebbero per lungo tempo a che fare coi vecchi sostenitori della monarchia e così gli Statunitensi che reclamavano la libertà dovettero lottare a lungo con l’Inghilterra. Lenin combatté contro l’armata bianca, così Franco in Spagna contro gli oppositori e così Fidel Castro, Mussolini e poi i Partigiani, e speriamo che alcuni di questi esempi, nonostante i nostalgici, restino dove sono, frammenti di spazio-tempo lontani, ma sempre lì presenti a ricordarci di che cosa è capace l’“Übermensch” moderno.
Anche Ghandi, per quanto la disobbedienza civile e la non violenza costituiscano le vere radici su cui, a mio avviso, si dovrebbe basare una vera rivoluzione moderna, impiegò anni e anni di fatiche per raggiungere il suo obiettivo. Tutta gente che non si accontentava di un modesto presente, ma viveva per un futuro migliore, e così rendeva degno il presente!

Per esempio: “Il potere è debole a causa della magistratura”.
Berlusconi ha ragione. Ma è debole nei confronti della magistratura perché chiunque nel Palazzo (che bel termine rivoluzionario!) sembra possa trovare un posto comodo comodo nei giri infernali di una moderna Divina Commedia e non perché i giudici siano di qualche particolare schieramento politico. La giustizia è strumentalizzata nel senso che è troppo facile far saltare la poltrona sotto il sedere di qualcuno o creare pressioni usando la Legge: chiunque sembra poter essere attaccabile perché chiunque sembra aver un passato con episodi al di fuori della legalità.
Se è vero comunque che come diceva Mussolini “non bisogna fare di tutta l’erba un fascio”, è pur vero che “fa più rumore un albero che cade che cento che crescono”, figuriamoci se ne cadono cento e ne cresce uno solo!
In un caso Grillo aveva ragione: L’Italia è l’unico posto nel mondo dove i fuorilegge siedono dove si fanno le leggi.
Ma se la politica è davvero così marcia, Noi allora siamo omertosi. L’omertà non è solo un problema legato alla mafia. L’omertà regna sovrana sugli italiani in quanto noi vediamo, ma non facciamo niente, sentiamo, ma poi facciamo finta di non aver sentito, parliamo, ma sottovoce, che non si sa mai.

Quindi mi chiedo: Chi guiderà allora una rivoluzione?
Chi guiderà una rivoluzione in un paese dove chiunque vada al governo deve stipulare patti con la Mafia (questo è il tema di recenti inchieste giudiziarie), ed è schiavo di un passato al di fuori della legalità? Chi guiderà una rivoluzione in un paese senza più la possibilità di produrre la propria moneta e vincolato al macigno del proprio debito pubblico tra i più alti nel mondo, eterno come il supplizio di Prometeo? Chi guiderà una rivoluzione nella paura di schiacciare i piedi ai vecchi privilegi, alle logge massoniche, agli interessi ecclesiastici? Chi guiderà una rivoluzione in un paese dove la lingua burocratica con cui vengono scritte le leggi e i referendum viene percepita dai più come cinese o aramaico antico? Chi la guiderà in un paese dove il giornalismo è politico, dove le domande vengono concordate prima di ogni intervista, dove chi cerca la verità viene accusato di diffamazione e dove i giornali diffamano in prima pagina, ancora prima delle sentenze? Chi la guiderà in uno Stato con leggi più numerose dei cittadini che le rispettano?
Ma chi guiderà la rivoluzione in un popolo abituato a sentire la verità solo dai comici?
Chi la guiderà in un paese la cui bellezza è rovinata dalle montagne di spazzatura per le strade, dalla mancanza cronica di piani di sviluppo credibili e di infrastrutture decenti? Chi guiderà una rivoluzione tra i milioni di scartoffie burocratiche e statali in esubero impossibili da licenziare per l’impossibilità dei privati di creare alternativi posti di lavoro in un paese dove si deve investire 4 per ottenere qualcosa che potrebbe essere pagato 1? Chi guiderà la rivoluzione in un paese dove i capitali invece di essere attirati vengono fatti fuggire altrove?
Chi la guiderà in uno Stato dove l’unico modo per avere un po’ di equità sociale è chiedere a degli uomini di abbassarsi gli stipendi volontariamente e rinunciare spontaneamente a tutti i privilegi? Tu che leggi, sinceramente, ti abbasseresti mai lo stipendio da solo? Da uomo privilegiato, faresti mai tutto ciò che in tuo potere per tornare a essere un comune cittadino che lavora fino a 70 anni per un briciolo di pensione?
Ma questo è l’unico modo per farlo perché i referendum sono solo abrogativi, perché si vota e si sa solo quello che viene fatto votare e viene fatto sapere, nella certezza che gli Stati moderni, se c’è troppa trasparenza, crollano come l’Unione Sovietica di Gorbaciov.
Chi guiderà quindi la rivoluzione… vale la pena continuare l’elenco?
A questo punto forse è solo meglio cambiare domanda: è davvero possibile una rivoluzione?
E soprattutto, abbiamo davvero voglia di fare una rivoluzione?
Perché la rivoluzione è una cosa seria, richiede impegno, determinazione, forza, costanza...
Non si può iniziare la rivoluzione un giorno e il giorno dopo dire: "scusate ragazzi, sono stanco, torno a casa".

La soluzione dell’italiano è sempre la stessa: migrare.
Dovunque vai nel mondo, se sei italiano, sei sicuro di sentirti un pochettino a casa.
Troverai dappertutto, infondo, una pizzeria italiana “Ciao belli”, “Bella Napoli” o “Da Nino”.
Ma poi ti siedi al tavolo e scopri che nessun dipendente è italiano, neanche il cuoco, e che nessun ingrediente è italiano: il parmigiano è made in china, la mozzarella made in bangladesh e sul menù compaiono scritte oscene come “Spaghetti alla Bolognaise”. Tanto è stata la capacità del nostro paese di tutelare l’élite dei nostri prodotti e del nostro intelletto che ora
un Australiano può dire liberamente: “sono andato a Napoli e quella non è la vera pizza”.
Non siamo più il paese “mandolino, Pizza, Amore”, ormai siamo “Italiano bunga bunga!”. L’unica élite che siamo stati in grado di conservare è quella parassitaria della classe dirigente.
Quindi non solo stiamo marcendo all’interno, ma anche all’estero.
Capisco bene il perché i figli degli immigrati italiani, qui in Australia, per il 70% non parlano italiano. Per i genitori conservare l’italianità dei propri figli era inutile: non c’era motivo di pensare che un giorno sarebbero potuti tornare. Quanta lungimiranza!

Nella mia camera d’ostello c’era un ragazzo tedesco. Anche con loro si finisce sempre a parlare di politica. “ Voi siete un paese che ha tantissime potenzialità e dove la gente vorrebbe investire. Il problema è che avete tantissime leggi, ma nessuno le rispetta. Questo è il motivo perché un paese come l’Italia, a mio avviso, è in una situazione così”.  Questa penso sia la sintesi che all’estero fanno del nostro Paese.

E il mondo va avanti in fretta, si evolve, lancia nuove sfide economiche, sociali, morali, ma noi siamo nelle sabbie mobili della nostra decadenza.
Siamo stati Francesi, poi Spagnoli, poi Austriaci, poi Tedeschi, poi Americani, e un giorno saremo Cinesi, non c’è alcun dubbio.
Ma Italiani lo saremo mai?
Saremo mai un popolo responsabilmente unito, terroni e polentoni, Pisani e Senesi, in grado di prendere in mano in modo comune le sorti della nostra bellezza? O continueremo a far finta di niente, a chiamare democrazia la più pura delle oligarchie, a preferire la raccomandazione alla forza delle nostre qualità, a vergognarci del nostro paese, a votare il meno peggio, a disinteressarci dello Stato, a viverlo come un gigantesco bordello, dove ognuno gode della propria usurata mignotta per qualche minuto, consumando in essa tutto l’amore e la vitalità che potrebbe dare a una bellissima e unica moglie?

Votate, ma prima di farlo riflettete. Chi e cosa state votando e sull’utilità reale del vostro voto, se sia un qualcosa che realmente può essere definito come scelta, se sia un atto libero con cui decidete il vostro futuro, o un puro gioco psicologico che vi vincola ancora e sempre più indissolubilmente al vostro passato.
Infondo, come dicono i saggi indiani, la consapevolezza è il primo atto verso la guarigione.

(Dedico questo piccolo intervento al mio amico Federico Figini e a tutti i giovani che si affacciano alla politica, perché siano e si mantengano qualitativamente diversi dai predecessori che andranno un giorno, se la moderna scienza non darà la vita eterna ai milionari, a sostituire).

Sognando una rivoluzione

Ho sognato all'improvviso un grande silenzio
che copriva tante, troppe parole
di anime immobili, senza manifesti
bastoni o proclami.

La loro spada tagliente
non grondava di sangue
ma di pesante imbarazzo
davanti agli occhi del mondo.
La loro corazza brillava di sogni
era fatta di libri, di suoni, di canti
la univa la vita, la univa l'Idea:
era tutt'una e niente cedeva.

Erano bianchi come un gregge
ma non eran più pecore.

Che Stato servite, generale?
Non il mio, non il vostro.
Per chi sacrificate le vostre uniche vite?
Non per voi, non per i vostri figli.

Fu un attimo:
il lupo si sedette di fianco agli agnelli
e Gerusalemme entrò in Babilonia
scompigliò la torre di carta
e ne fece un castello appeso a una nuvola.

"Presto, fratello, alzati, dobbiamo andare!"
"Non oggi, fratello, ho troppo da fare…"

(G. Masi)