sabato 27 aprile 2013

Tre personaggi che non cercano autore III


Capitano mio capitano!

Ci sono uomini che sono nati per stare in mare e niente lì può trattenere a terra. Né una moglie conosciuta romanticamente durante una “booze cruise” (pulmini “dell’allegria” che il venerdì sera fanno tappa in tutti i pub della città, riportando tutti a casa felici e vomitanti), né tre figli, né una grande farm dove soldi e tempo da spendere con la propria famiglia si erano riusciti bene a coniugare.
Mate e il Capitano sono due uomini più o meno della stessa età, ma di condizioni di vita opposte. Il primo, completamente da solo, spende più tempo in mare possibile perché a terra non ha assolutamente niente, a parte un paio di prostitute e qualche sgangherata conoscenza. Il capitano, invece, è un uomo che ha iniziato a lavorare sui pescherecci quando aveva 6 anni e per cui il “richiamo del mare” è stato più forte di qualsiasi affetto.
Di storie sui cinque anni di farm lontano dall’oceano, però, ne raccontava spesso, molto spesso ripetendosi, e parlavano di tori scatenati “innamorati” di mucche di proprietà lontane che saltavano le recinzioni per andare a copulare con la propria bella o di parti dolorosi di vitelli e di operazioni chirurgiche improvvisate per rimettere dentro il corpo l’utero di mucche completamente penzolante all’esterno di una vagina slabbrata. A volte sembrava che un po’ gli mancasse.
La corporatura grassoccia non gli impediva una certa agilità, ma dopo anni di esperienza era testimone di una certa pigrizia dovuta al proprio ruolo. L’unico lavoro che faceva durante la notte era quello di sollevare le reti, controllare che tutto funzionasse, e all’occorrenza cucinare i king pranws nel forno. Nelle notti da 800 kg, seduto sulla superconfortevole sedia di comando, aiutava compilando scatole, ma senza mai fold them up (il termine in italiano proprio non mi viene).
Durante gli unload si assentava, chiacchierando con il capitano della Barge, amico di vecchia data, durante i suoi turni di guida spesso,  stava comodamente in branda ascoltando musica o guardando qualche film, lasciando fare tutto al pilota automatico.
 All’inizio di ogni shot, però, scendeva la piccola scala metallica per venire a vedere che cosa le reti avessero appena versato sul tavolone. In fondo ai suoi occhioni allora si poteva leggere nel disappunto o nella gioia la speranza e la determinazione di un uomo che aveva un vero motivo per voler guadagnare tanti soldi e che aveva quel motivo sempre nel cuore ogni volta che le reti scomparivano inghiottite dalla superficie dell’oceano.
Ignorante accademicamente parlando, se la cavava egregiamente in tutte le cose pratiche, che poi è tutto ciò che conta su una nave e molto spesso nella vita in generale. Sapeva sempre dove andare a toccare, come riparare, cosa e come legare, come far fronte a tutte le situazioni che gli si presentavano, dai guasti al motore ai guasti al cervello del proprio secondo in comando.
Non credeva in Dio, per lui c’erano abbastanza fatti nel mondo che provavano la sua inesistenza, e il suo non interesse religioso si esprimeva nella gran parte dei suoi jokes sul mondo della “ Poco Santa” Chiesa Cattolica, che qui in Australia è alle prese, un po’ come in tutto il mondo, con lo scandalo pedofilia.
A continue battute sul tema chiesa e sesso, come “Il nuovo papa ha dato una festa per la sua elezione e ha invitato tanti bambini per dagli la “benedizione”!” (sicuramente una delle più leggere) si intrecciavano idee strampalate sul fatto che le famiglie cattoliche avessero tanti figli perché la Chiesa manipolava le menti dei fedeli, secondo un piano diabolico per avere sempre un maggior numero di adepti.
Di teorie strane e discutibili Capitano ne aveva parecchie. Come quella per cui, secondo lui, per garantire la sicurezza ovunque nel mondo, ognuno avrebbe dovuto avere una pistola. “Se tutti avessero una pistola, nessuno sarebbe più forte, tutti avrebbero paura di sparare per il timore di essere colpiti a loro volta, e non succederebbero più le stragi causate da malati di mente, come in America, perché lo ammazzerebbero prima quel cunt!”
O come quella per cui l’Australia avrebbe sconfitto pesantemente l’Italia nella seconda guerra mondiale, amplificando la partecipazione di quattro soldati messi in croce allo Sbarco in Sicilia e l’affondamento di un paio di navi in una vittoria schiacciante che testimonia la superiorità della nazione australiana su quella italica e non solo (perfettamente nello stampo di un arrogante orgoglio patriottico tipico da queste parti, che nei soggetti più ignoranti come Mate, sfocia ancora in un velato razzismo).
All’esposizione di queste teorie non si poteva far altro che annuire per non scatenare inutili discussioni infinite in cui il pazzo del villaggio, pur di farsi vedere fedele servitore, iniziava ad urlare insulti conditi da commenti palesemente fuori luogo, Decky assumeva la solita aria saccente e iniziava a usare paroloni accademici che finivano per irritare Capitano che si alzava dalla tavola scuotendo la testa borbottando “Spero che prima di entrare in marina imparerai a smettere di essere uno smart ass, altrimenti non avrei sicuramente vita facile!
Decky, infatti, era alle prese con l’ammissione per entrare nella NAVY australiana come linguistic, adetto all’intercettazione e alla decifrazione di codici, probabilmente spinto dalla vergogna di non voler deludere la propria madre, in quanto ogni volta che parlava della sua scelta appariva come obbligato e abbassava la testa, iniziando a masticare nervosamente il piccolo uncino di metallo che teneva sempre in bocca, in una compulsiva pulizia dei denti.
A riguardo c’era stata un’altra puntata della infinita lotta con Mate che una sera, sempre durante il maledetto primo shot, l’aveva sparata troppo grossa, dicendo che suo cugino lavorava nella dipartimento di ammissioni della marina e che avrebbe fatto una telefonata per impedire l’ammissione di Decky. Io mi sono riuscito a trattenere, ma lui gli è scoppiato a ridere in faccia. Risultato: Mate ha smesso di lavorare e in una scena abbastanza pietosa si è seduto sulla sua sedia (c’erano due sedie di plastica sul deck della Angelina Star ed erano tutte e due sue e secondo lui nessuno a parte lui ci si poteva sedere) e ha iniziato a digitare numeri a caso sul suo cellulare, chiamate a cui ovviamente nessuno potvea rispondere.
Capitano scuoteva la testa, ormai rassegnato soprattutto dopo l’episodio della conchiglia che lo aveva fatto andare veramente in bestia. “You don’t listen! Ora dovrei venire lì e spaccarti il muso, ma non posso farlo, perché i tempi sono cambiati. Se avessi fatto una cosa del genere al mio capitano, una volta, mi sarei ritrovato overboard, speditoci a calci nel sedere!”.

Una cosa per cui si arrabbiava tantissimo Capitano era la pulizia del deck della mattina.
Un lavoro lunghissimo, reso difficile da una superficie considerevole e da diversi angoli quasi impossibili da vedere e da raggiungere con la canna dell’acqua. Il solo esserci sul deck o in un cesto di una piccola zampetta di gambero era sufficiente in alcune giornate per essere richiamati e non importava quanto accurati fossimo, quanta attenzione ci mettessimo, quanti angoli spulciassimo, lui riusciva sempre a trovare quel qualcosina che noi avevamo dimenticato. Era sempre una battaglia persa.
La pulizia del deck, e di tutte le cose usate durante la notte, è vero, è di grande importanza se non si vuole che la barca puzzi di pesce morto soprattutto quando, cosa ancora inspiegabile, si è invasi dalle mosche. Mosche in mezzo al mare! In anni e anni anche Capitano diceva che era la prima volta che aveva un problema del genere.

In compenso, però, Capitano era l’unica persona con cui si poteva respirare un po’ di tranquillità.
Era il mio turno di lavare i piatti, ma il tramonto di quella sera era così incantevole che mi aveva paralizzato a prua, in totale contemplazione.
“Ei, vieni giù a pulire che poi io devo andare a letto e non voglio sentire rumori!” era la voce gracchiante di Mate che, come al solito, veniva a rompere le scatole.
“Ma lascia perdere! Vieni qui che ti faccio una foto!” e presa la macchina fotografica abbiamo speso mezz’ora a cercare di fare una foto decente e a parlare dei tramonti di Darwin, quando i contadini bruciano la terra e spargono i concimi, e le nuvole nere sembrano scaturire dalle fiamme del cielo invece che dalla terra. Porto con me conversazioni davvero belle e istruttive con Capitano, tanto che verso gli ultimi giorni pregavo Decky di avere il primo riposo al posto mio, perché ciò avrebbe voluto dire lavorare con lui e farsi raccontare un po’ di storie e finalmente imparare tutte quelle cose che Mate preso dalla sua ansia, non poteva insegnarmi.
E a proposito di insegnamento che Capitano tirò fuori finalmente una teoria valida: la scuola al giorno d’oggi è troppo accademica e troppo poco pratica e gli studenti che vi escono sono degli ignoranti pazzeschi nelle cose importanti nella vita: “dovrebbero insegnare come aggiustare una macchina, come cucinare, come usare i vari attrezzi, come riparare, come montare una presa elettrica o smontare un tubo, insomma come far fronte ai vari problemi pratici della vita di ogni giorno. Quella è la vera cultura”.
Come dargli torto, su quella nave la mia laurea in Lettere, i 9, i 10, i 30 erano solo carte straccia che non mi erano assolutamente d’aiuto anzi, mi facevano sentire ancora più palesemente ignorante, non avendo mai abituato le mani e il cervello a pensare sotto sforzi fisici e a cercare soluzioni per rendere più facili lavori altrimenti faticosi e impossibili da svolgere, anche banali, come tranciare una catena metallica.

Una volta, mentre stava manovrando con la carrucola per aissare le reti da pesca, Capitano mi disse “portami un pesciolino”.
La corda sembrava avvolgersi sul cilindro rotante della carrucola in maniera dolce, senza alcun segno di tensione, una macchina che all’occhio di un ragazzo inesperto come me appariva assolutamente innocua.
“Ora guarda cosa succede a questo pesciolino”.
E mise il piccolo pesce sulla superficie del cilindro. La corda si avvolse lentamente sopra e come nulla fosse, senza essere per nulla disturbata nel movimento, tranciò di netto il povero animale davanti ai miei occhi abbastanza increduli e scioccati.
“Ora la stessa cosa succede se metti le tue dita nel posto sbagliato. Avrei potuto dirti di non mettere le mani lì, ma tu non avresti compreso allo stesso modo la pericolosità che quel gesto comporta”.

Tre personaggi che non cercano autore II


Questione di quoziente intellettivo

I più malefici possono insinuare che la ragione del comportamento di Mate fosse una pura questione di denaro. Essendo fissata una quota di circa il 15% del pescato per l’equipaggio, ripartita in base all’esperienza e alla performance lavorativa, il continuo lamentarsi della crew avrebbe portato ad accrescere la sua percentuale rispetto alla nostra.
In realtà, per quanto non sia una ipotesi da escludere, il vero motivo era un altro.
Ho già scritto di come Mate durante tutto il viaggio abbia cercato di dimostrare di poter diventare un bravo skipper e la prima skill richiesta ad uno skipper è quello di saper scegliere il proprio equipaggio.
Decky aveva lavorato con Mate su un’altra nave, un anno prima. I due, nonostante la differenza abissale di esperienza (per Decky era stata quella la prima esperienza), erano entrambi Deckhands e insieme si erano trovati molto bene. Nonostante già allora il loro capo  fosse molto scontento di Decky, Mate pensava che il basso rendimento del ragazzo fosse dovuto al fatto di essere costantemente tenuto sotto pressione e che in realtà lontano da quei rimproveri infondati sarebbe stato un ottimo elemento. Per questo lo aveva chiamato personalmente e gli aveva dato il lavoro dopo aver insistito con il Capitano per la sua assunzione. Ma la situazione per DEcky non sarebbe poi stata così diversa rispetto al trawler precendete.
In realtà a mio avviso era davvero bravo. Il suo problema era di natura caratteriale. Non voglio entrare in dettagli troppo personali, di cui la mia scarsa istruzione in psicologia e un velato senso di rispetto mi impediscono di parlare, ma la situazione famigliare complicata (anche in questo caso) e l’ambiente dove il ragazzo si era trovato a crescere avevano prodotto in lui qualcosa che potremmo chiamare “sindrome di Batman”.
Il nome del supereroe non è scelto a caso, in quanto il primo ricordo che ho di Decky e del suo arrivo in barca sono questi due enormi sacchetti di fumetti del Cavaliere oscuro, le cui imprese in versione cinematografica hanno consumato il lettore DVD della Galley. Giorno per giorno.
Lui doveva fare tutto, lui doveva essere il migliore, lui e solo lui poteva fare determinate cose, perché era muscoloso, perché era alto, perché era bravo, perché si doveva far assolutamente vedere, perché doveva dimostrare tutto ciò agli altri e a se stesso.
Insomma, era un po’ come rivedere in uno specchio quella parte di me che oggi, dopo la rovinosa caduta dal quad a Rossgole, dopo il fallimento dell’esperienza di venditore a Sydney e dopo aver rischiato di non ottenere il lavoro al corso in Coonabarabran, ha imparato la più semplice lezione della vita “strafare=sbagliare” e in certi ambienti è anche sinonimo di pericolo.
A questa Bat-sindrome si univa un irritante atteggiamento di superiorità soprattutto nei pedanti sfoggi nozionistici e negli atteggiamenti verso di me, suo pari, e verso i suoi superiori, dovuto al fatto, a mio avviso, di essere stato “montato” fin da piccolo per il suo alto quoziente intellettivo.
Il test del QI viene sottoposto regolarmente agli studenti australiani, a mio avviso in maniera pericolosa in quanto figlio di una deriva positivistica che assolutamente non determina  le capacità e l’abilità che il bambino potrà sviluppare nella crescita e il successo che da queste potrà ricavare nella sua vita, come dimostra esemplarmente la storia del collega Forrest Gump o quella di chiunque altro al mondo, pur non avendo le doti ricercate nel test, è riuscito a eccellere con le sue proprie qualità.
Fatto sta che Decky era veramente dotato a livello logico e matematico, in grado di svolgere a mente calcoli matematici complessi come moltiplicazioni a tre o quattro cifre, ma aveva una memoria e una capacità di concentrazione praticamente nulle.
Dalle piccole cose alle più grandi. Da dimenticarsi di pulire il microonde dopo che il Capitano glielo ha chiesto gentilmente a tavola cinque minuti prima, a dimenticarsi di spostare le scatole all’interno del freezer in modo da far surgelare per bene anche quelle dell’ultimo shot.  Da imbambolarsi davanti alla televisione e metterci ore ed ore a cucinare la cena e la colazione, togliendo a tutti minuti preziosi di riposo, all’episodio più grave di tutti: l’aver ributtato in mare una gigantesca pearl-shell, contrariamente all’esplicito ordine del capitano, una conchiglia che probabilmente al suo interno custodiva un valore di qualche migliaio di dollari e che il Capitano aveva già nell’eccitazione promesso alla moglie come regalo per il ventesimo anno di matrimonio, dopo aver navigato per più di un’ora alla ricerca di ricezione sul proprio telefono.
E così ogni giorno dovevo sorbirmi il ritornello “he’s got 140 IQ, But it’s more stupid than me!” con il sempre più imparanoiato Mate ferito dal fatto che colui per cui aveva speso parole non si era rivelato all’altezza delle aspettative. Così aveva smesso di fidarsi completamente di ognuno, accentrando su di se tutto il lavoro, innescando la devastante reazione a catena di stress che ha condizionato tutto il viaggio e che è culminata con un’altra rissa.
Un caldo pomeriggio della sesta settimana, dopo aver dormito in una sauna a causa dell’ennesima paranoia di Mate che a furia di cercare di abbassare la temperatura del condizionatore (già a 15 gradi!) aveva finito per mandarlo in tilt, Decky si è iniziato a lamentare per essere preso troppo di mira and to be flustered in continuazione, condizione secondo lui che lo portava a sbagliare continuamente e a non poter far bene il proprio lavoro.
Ne è nato uno scambio acceso di battute di cui non conosco il contenuto, in quanto io dalla cucina osservavo la scena tranquillamente davanti ad una tazza di caffè, proprio dal buco nella parete lasciato dal defunto condizionatore. I due infondo era un mese che si lamentavano l’uno dell’altro (in realtà Mate sparlava di me con Decky e di Decky con me indistintamente) ed avevano bisogno di un chiarimento. Ma poi il pazzo del villaggio ha iniziato ad accusare il nostro integerrimo supeeroe di essere un ladro per la sua odiosa abitudine di rovistare un po’ troppo nel frigorifero e di tutta risposta il giovane gli ha rinfacciato di essere peggio (cosa su cui non si può non essere d’accordo). Insomma un battibecco tra due bambini che aspettavano solo un pretesto per alzare le mani.
Così Mate, che fino a quel momento era seduto con la sigaretta in bocca, facendo finta di leggere un libro, con la rapidità di un bradipo stanco si è alzato e ha caricato il destro diretto alla faccia di Decky che, dopo aver bloccato il pungo senza grandi difficoltà, è passato rapidamente al contrattacco e con una mossa d’arti marziali ha stretto il braccio dell’antagonista in una morsa dolorosa.
Se parlate con Mate oggi, ovviamente, vi dirà che lui ha avuto pietà del giovane e non ha voluto fargli del male, la realtà è che se Decky non si fosse controllato probabilmente quel braccio glielo avrebbe rotto, mentre l’altro ordinava invano di lasciarlo andare piegato sulle ginocchia.
E io ero lì, tranquillamente a bermi il mio caffè, sgranocchiando biscotti come al cinema i pop corn.

“Una volta sono stato in mare 253 giorni, è stato il viaggio più lungo. 52 giorni o 253 passano esattamente allo stesso modo”. E’ incredibile come passa velocemente il tempo su una barca, come questo si avviti su se stesso sempre uguale, senza sosta.
E così di tutto quello stress resta solo il ricordo appannato da altrettanti momenti belli e di risate, come quelle che ci siamo fatti io e il capitano, osservando quei due continuare a discutere ancora e ancora per un’altra ora, ma senza più arrivare alle mani ( probabilmente Mate si era reso conto che era meglio astenersi dal contatto fisico). A distanza di quasi una settimana dal nostro ritorno in porto, nonostante sulla nave abbia cercato di sostenere Decky, devo riconoscere che, risfogliando i ricordi nella mia memoria, a dire il vero, Mate non aveva tutti i torti.
Diceva che Decky poteva sortire più velocemente di quello che faceva. E in effetti l’ultima settimana, preso dalla voglia di rivalsa dopo che, per ridere, il Capitano gli ha ordinato di indossare per una giornata intera una virile mini-gonna nera, in quanto come le donne “aveva sempre da rispondere e da ridire”, andava al doppio della velocità.
Diceva che prima o poi le disattenzioni del ragazzo avrebbero fatto del male a qualcuno e in effetti un paio di episodi sono stati davvero pericolosi. I serpenti marini che finiscono sul tavolo da sorting vengono presi per la coda e velocemente rilanciati in mare, prima che qualcuno ci possa finire vicino senza accorgersene. Buon senso vuole che si avvisi il proprio compagno in modo che si possa spostare. Ma Decky di buon senso ne aveva ben poco ed è così che mi è arrivata in faccia una frustata di uno degli animali più velenosi del mondo, grazie a Dio, senza alcuna grave conseguenza.

Ma non sono stato l’ultima vittima. L’ultimo giorno in porto il figlio di 9 anni del Capitano si stava divertendo a pulire i freezer in fase di scongelamento della barca e sia mai che qualcuno, specialmente un bambino, possa svolgere un lavoro sotto i suoi occhi senza che lui intervenga!
Così per far funzionare la pompa per aspirare l’acqua ha posizionato il peso da 5 kg di piombo della bilancia sul cavo nero d’alimentazione esattamente al bordo del freezer dove lui e il bambino stavano lavorando.
Risultato: il bambino ha tirato sbadatamente il filo e, dopo un volo di un metro e mezzo, il peso di piombo è atterrato sulla testa di quest’ultimo, dopo aver smorzato, per fortuna, la propria velocità sul braccio (è proprio il caso di dirlo) dell’imbecille.


E’ vero, il tempo sulla Angelina Star è stato a volte molto stressante, come le pagine del mio sgrammaticato diario di bordo raccontano. Ma nell’entrare nel ruolo del pescatore, oltre a divertirmi a far crescere la mia barba come un vecchio lupo di mare ho anche imparato quella sottile arte di dimenticare  e oggi quei momenti passano nella mia testa leggeri come nuvole, sovrastati da un ‘immensità di risate, di cose imparate e di meraviglie impresse infondo ai miei occhi.
E così, come un buon uomo di mare, smorzerò tutta questa tensione con la solita battuta o barzelletta di basso bordo o a sfondo sessuale, presa direttamente dal ripetitivo repertorio del Capitano. (mi scuso per la volgarità da bar, ma oltre ad aver promesso che avrei raccontato questa barzelletta ai miei amici una volta tornato a casa, è una significativa esemplificazione della “comicità di mare”).

C:Hey Gab, what are nuts on the wall? Wallnuts. What are nuts on your chest? Chestnut
And what are nuts on your chin?
Io: Chinnuts?
C: No, a mouth full of cocks!

Tre personaggi che non cercano autore I


Qualcuno volò sul nido del cuculo

“Ciò che succede in mezzo al mare su una barca in mezzo al mare, rimane sulla barca”.
Così dovrebbe essere la regola. Non potendo sottrarmi a raccontare questa altra incredibile storia, rispetterò questi tre personaggi che non cercano autore non usando i loro veri nomi, ma semplicemente nominandoli coi loro ruoli.

Tutti quanti da che mondo è mondo hanno da ridire qualcosa sul proprio capo. Difficilmente però qualcuno ha dovuto convivere 24 ore su 24 con lui, più di 50 giorni, su una barca di 18 metri, con gli spazi per la vita comune di circa 3 metri quadrati.
Ancora più difficilmente qualcuno ha dovuto avere a che fare con un superiore affetto da comprovati problemi psicologici d’ansia e depressione, aggravati da un lungo uso di droghe e da notevoli problemi di relazione, basati su una assenza assoluta di fiducia nel genere umano causata da diversi anni di carcere e dagli sfortunati incontri coi più disparati individui della peggio specie nell’intero corso di quarantaepiù anni di vita.
Non sto parlando del capitano e proprietario della barca, dai grandi baffoni neri e dalla pancia prominente, che spendeva gran parte del tempo lassù, isolato nella sua cabina di comando.
Ma come “capo” intendo il mate, il comandante in seconda, responsabile di tutto ciò che accadeva di sotto sul deck, supervisione del mio lavoro.
Dopo 15 anni di lavoro come deckhand, quel ritratto di “normalità” di uomo si era deciso a cercare di avanzare di grado e di prendere il brevetto da skipper e l’Angelina Star nei suoi piani era la nave di cui, una volta passati gli esami dovuti e ottenuta la licenza, avrebbe retto il timone in futuro. Ma per fare ciò doveva assolutamente ingraziarsi la fiducia del capitano, dimostrandosi capace e pronto per un compito di tale responsabilità (ansia aggiunta ad ansia).
E tutto ciò nonostante Mate (pronuncia all’inglese mait) avesse iniziato a lavorare sulla su quella barca 12 anni fa e da allora, nonostante un discontinuo servizio, fosse stato adottato dal capitano e dalla sua famiglia che, da quanto ho capito, lo avevano aiutato a uscire piano piano da una situazione e da un giro difficile, fornendogli sempre un lavoro, un alloggio e un punto di riferimento costante.
Tirando le somme, un soggetto con seri problemi psicologici facilmente derivabili da una situazione conflittuale complessa con la famiglia e con il padre ex-militare, ma comunque una persona, c’è da dirlo, non cattiva e a tratti anche simpatica. E quei tratti erano sempre gli stessi: iniziava a bestemmiare e urlarci dietro dalle 5 del pomeriggio fino alle 6 di mattina, quando improvvisamente, dopo averci logorato le tempie, all’ultimo shot si calmava e diventava un’altra persona, capace di sorridere e fare battute (per quanto simili a “dobbiamo radere tutte le donne italiane perché hanno i baffi!”).
Ora con me, devo ammetterlo, non è mai stato troppo duro a parte quando, dopo due settimane, ha iniziato da un giorno all’altro, senza preavviso, un training intensivo per farmi andare più veloce sul tavolo da sorting: FASTER! FASTER! E io testa bassa e che cercavo di muovere le mani più velocemente possibile, pizzicato da qualunque animale possibile. Ma per due settimane qualunque cosa facessi, nonostante a volte riuscissi già a raccogliere più gamberetti di lui, ero sempre troppo lento. Ma alla fine della sesta settimana andava in giro orgoglioso dicendo a tutta la barge che ero più veloce di lui e che questo era tutto merito suo.
Riguardo al mio training c’è un piccolo episodio che esemplifica la situazione e la lunaticità del personaggio in questione.
Una delle tante mattine di quel periodo, nell’ultimo e pacifico shot, soddisfatto per i visibili risultati, era andato dal capitano urlando con la sua voce rauca“Il WOG (western oriental gentlement, termine con cui gli australiani chiamano gli europei) mi sta surclassando. Hai visto?!”.
Non ho ancora ben capito come poi 18 ore dopo (andando alla stessa esatta velocità della mattina) mi son ritrovato a dover subire una ramanzina proverbiale dal capitano perché Mate si stava lamentando che ero troppo lento e a dover firmare sul diario di bordo un patto che ci saremmo impegnati, io e l’altro deckhand, ad andare più veloce sul tavolo da sorting, proprio come se tutti si fossero dimenticati di tutti quei complimenti.
Una cosa che non ho scritto nei post precedenti è che in una normale nottata di pesca c’è l’opportunità di riposare un’oretta circa tra gli shots, e soprattutto tra la cena e primo turno delle 9.30 c’è sempre il tempo per farsi una bella dormita. Il fatto di dover essere il più veloci possibile durante il lavoro nasce, oltre dal fatto che bisogna finire assolutamente entro lo shot successivo per non perdere tempo e denaro, anche dalla semplice regola che prima si finisce più tempo si ha di pausa e in un certo senso si riesce a raddoppiare la paga: perché stando che si guadagnano ipoteticamente 80 dollari fissi, c’è differenza tra guadagnarli in un’ora di lavoro o in due ore di lavoro.
Prima di proseguire, è forse meglio per una migliore comprensione presentare qui di seguito una tabella, puramente indicativa e costantemente variabile, degli orari di una giornata media sulla  barca.

17.00: sveglia
17-17:30: snap ovvero spostamento delle scatole nel freezer principale
17.30- 18.30 (più durante tutta la notte all’occorrenza): scrittura scatole
18.15: operazioni di preparazioni del deck e delle reti
18.30: cena
20.00-21:30: finiti di pulire i piatti, preparato il deck e le scatole, primo break per il mate e a turno per i decky
21:30-23.30: primo shot
23.30-00.30: secondo break, per il capitano e per l’altro decky. Guida il mate
00.30-02.30: second shot
02-30-03.30: terzo break
03.30-05:30: terzo shot
05.30-06:15: ultimo break
06:15-8.00: quarto shot (di solito il meno pescoso)
8.00-9.30: pulitura del deck, doccia e lavatrici varie ed eventuali
9.30: breakfast
10-17: riposo

Ora capita a tutti di svegliarsi qualche volta con la luna storta, soprattutto dopo un riposo troppo breve. Ma Mate ogni primo shot era assolutamente intrattabile. Si svegliava e iniziava a urlare, anche se tutto era a posto e non si placava per due ore e mezza montando storie infinite per delle stupide facezie.
Come quando ha passato mezz’ora a darmi del disonesto e codardo perché secondo lui avevo messo i prawns della try gear nei miei bakets, per far vedere che andavo più veloce (proprio così, a volte pensavo di essere sulla Asilo Mariuccia Star!). O come quando mi ha accusato di essere un ladro perché ha trovato il pacchetto dei biscotti nella sua stanza aperto.
Morale della favola entrambe le volte era stato il capitano, prima a spostare i prawns della try gear per dargli un’occhiata e poi ad aprire la scatola dei propri biscotti che Mate custodiva gelosamente in camera sua per fare in modo che durassero più di una notte (e in effetti noi, me in testa, eravamo dei divoratori insaziabili di biscotti. A mia discolpa, come avrete potuto notare dalla tabella degli orari, il pranzo non era pervenuto e durante la notte era assolutamente necessario qualcosa da sgranocchiare per mantenersi lucidi e in forze).
Insomma il primo shot era un continuo gridarci dietro e andare a lamentarsi di noi e del pescato con il capitano.
E così un lavoro che può essere svolto senza eccessivi stress e preoccupazioni, si trasformava in una esperienza psicologicamente logorante per tutti che ha avuto il suo apice ai primi di Aprile con una scena abbastanza scioccante.
Mate era abbastanza seccato con  Capitano perché eravamo tornati a pescare un po’ più a Nord dove, secondo lui, non avremmo cavato un ragno dal buco.
Era come al solito il primo shot. Io e l’altro decky stavamo sortendo sul lato opposto. Come in un teatro di burattini la linea del bordo del sorting tray ci consentiva di vedere solo il mezzobusto delle due figure che discutevano animatamente.
“And so fuck off!”
 Mate si accorse subitò che questa ultima frase non gli sarebbe dovuta scappare.
“What have you said?” Fu un attimo. Le cicciute manone del Capitano si attorcigliarono intorno al collo del povero sventurato, stringendolo forte e, in un raptus di improvvisa pazzia, come il morso in uno squalo, trascinarono giù a poco a poco la faccia più pallida per la paura che rossa per l’assenza di ossigeno. “Ti insegno io a rispettare il tuo capo!”
Sono rimasto impietrito, choccato, immobile. Per fortuna dopo qualche secondo, che sembrò un’eternità, la presa si sciolse e Mate poté liberarsi.
Dopo giorni e giorni passati ad ascoltare le storie di un uomo che ha picchiato mezzo mondo, che è uscito vincitore dalle peggiori risse, sopravvissuto a ferite che Rambo avrebbe sopportato a malapena e che avrebbe tenuto testa a chiunque, davanti a noi ci è apparso un povero cagnolino spaventato, che tra rabbiose lacrime urlava: “io mi licenzio, me ne vado, questo è troppo”,  e urlava ancora e ancora, nascondendosi sotto una sedia, in un angolino, mentre il Capitano, nero come la pece, essendo che l’idiota non la smetteva di parlare, chinato sulle ginocchia lo assediava: “vieni fuori! Vieni fuori che ti faccio vedere io chi si deve andare a fare fottere!”
Ci sarebbe da scrivere un libro su questa avventura. Più scrivo più mi mancano le pagine e più mi accorgo che la forma del blog  e il poco tempo a disposizione mi costringono alla sintesi. Ma forse ancora più choccante di quella scena fu vedere che dopo un paio d’ore tutto era tornato normale e i due scherzavano come nulla fosse mai successo.
Dai pescatori si impara l’arte di dimenticare tutto e in fretta. Questa è una qualità incredibile degli uomini di mare che nella loro memoria trasformano tutto in leggenda, amplificando a loro piacimento qualunque fatto o avvenimento, ma  che, come dice il proverbio, spesso dimenticano persino le proprie promesse.
Nello stampo codardo di chi raramente era in grado di assumersi le proprie responsabilità, la versione ufficiale dell’accaduto fu che Mate aveva detto Fuck off non al capitano, ma ai troppo numerosi Endeavour prawns e la colpa di tutto era nostra che, non avendo pulito decentemente la cucina dopo cena, avevamo irritato in maniera pesante l’umore del capitano.
In questo c’è una parte di verità. Mentre sul lavoro andavo alla grande, il mio punto debole erano queste piccole faccende domestiche nel regno di un maniaco della pulizia il cui motto costante era: “Cleanliness is Godliness!”.
Ma in realtà a rendere peggiore il comportamento di Mate c’era un vero motivo scatenante, ecco perché nel prossimo post dobbiamo introdurre la figura di Decky.