Forse è per non sfigurare davanti al quasi omonimo King Kong, o più
probabilmente perché in quest’area del mondo così immensamente popolata c’è la
necessità di incastrare più persone nel minor spazio possibile, non lo so
perché tutte queste persone abbiano iniziato a cercare spazio su quest’isola,
ma oggi Hong Kong appare come una metropoli spettacolarmente gigantescamente “watussiana”.
Finora pensavo che certe città e costruzioni si potessero solo
progettare coi mattoncini della Lego, e invece oggi, mentre l’autobus a due
piani numero 6 si arrampicava sulle colline dell’isola, davanti a me è apparsa
una varietà impressionante di grattacieli di altezza media di 30-35 piani, di
ogni forma, colore, dimensione e materiale. Tra questi fanno terribilmente
impressione i numerosi pannelli verticali di 50 piani, quasi bidimensionali,
che non si capisce bene come riescano a trovare il baricentro e la forza per
stare in piedi e che spuntano continuamente nel profilo dello skyline, nel
tentativo disperato non solo di salvare spazio sulla terra, ma anche per aria.
Dai veri e propri fantasmi tra le nuvole nella pioggia delle 6 di
Domenica mattina della periferia al firmamento di luci della sera (in seria
competizione con la via lattea) nello stretto tra l’isola di Hong Kong e
Kowloon, i grattacieli di Hong Kong sono veramente qualcosa di impressionante
che, anche grazie all’aria condizionata a livelli esagerati dei posti pubblici,
rischia di lasciare paralizzato il collo all’insù.
La ricercata verticalità diventa, però, abbastanza divertente quando si
osservano passare i cortissimi tram a due piani su Queen’s Road Central.
Mentre è in corso l’allestimento per la serata della moda asiatica e
per le celebrazioni della comunità filippina dell’isola, il divertimento delle
8.30 della domenica, è quello di sedersi comodamente ai bordi di un campetto di
calcio e osservare divertito il tipico match scapoli-ammogliati, prima di
uccidere i propri polpacci e le proprie ginocchia sulle salite e discese delle
strade e dei marciapiedi multilivello della città. Quando poi i nuvoloni neri
coprono improvvisamente il cielo, alle
cinque del pomeriggio, se le macchine potessero già volare, sembrerebbe di
essere in mezzo al set di Blade runner.
Hong Kong merita veramente una visita, anche in giornata, come è
capitato a me in questo stopover tra
l’Australia e l’Italia.
Dopo più di 340 giorni e 95 posts sul blog si torna a casa, con molte
lacrime e tanti punti interrogativi sul futuro, ma nella certezza che finito un
viaggio ne inizia subito un altro. Quando un viaggio, infondo, cambia radicalmente
la prospettiva sul mondo e su te stesso come è stato per me, tornare a casa è
assolutamente ed esattamente classificabile come un altro viaggio, pieno di
interrogativi e di nuove scoperte.
Nella mente, durante l’eterno volo verso casa, passano fotografie di
chilometri e di angoli, di folle e di sguardi, di mesi e di istanti.
Ho imparato a fare un cappuccino, a condurre i pascoli, a marchiare i
vitelli, come funziona l’industria della carne, dell’ippica, dei gamberi e ad
andare sott’acqua come sub; mi sono buttato da un aereoplano, ho guidato un
camper veramente hippy per 4000 chilometri, ho visto il 2013 prima di tutti i
miei amici, ho finalmente vissuto da solo; ho passato 2 mesi nell’oceano, ho
cavalcato al galoppo e ho guidato una moto a marce e un quad per la prima
volta. Ho guidato un motorino per 200 chilometri sulle montagne, ho surfato
un’onda, ho vissuto una tempesta tropicale, ho nuotato di fianco all’animale
più grande dell’oceano e anche con gli squali. E nella famosa “lista delle cose
da fare prima di morire” ( My Bucket list), come gran finale posso anche
aggiungere un’ultima chicca: ho dormito all’Hilton Hotel. Un piccolo lusso che
però dopo un anno di ostelli e di letti scomodi ( a parte la mia meravigliosa
camera in Yarraman Park) si apprezza quasi come la vittoria della lotteria e che
io e Alina, nonostante la febbre, mal di gola, mal di pancia e via dicendo, ci
siamo voluti concedere come ultimo ricordo di un viaggio assolutamente
indimenticabile.
So che è abbastanza stupido, ma arrivare con il proprio backpack alla
reception dell’Hilton, fa il suo effetto e attira abbastanza l’attenzione.
Ma dall’altra parte questo è il destino di noi V.I.B. (very important
backpacker).
L’ultima notte a Sydney, nell’Hilton, per noi è stata speciale, ma
guardando dalla finestra del 25 piano la città andare a dormire come ogni notte
e poi risvegliarsi come ogni mattina, mi ha fatto trovare la giusta morale per
chiudere questo racconto:
“Ciò che è speciale è perché lo è per te. Dipingi il tuo mondo con il
tuo unico, personale e irripetibile tocco e poi guarda il tuo quadro. Può
essere oggettivamente il più brutto dell’universo, ma se a te piace allora è
perfetto. E se piace a te, basterà la luce dei tuoi occhi per farlo apparire meraviglioso
anche agli altri. E allora non c’è vergogna, giudizio o ansia. C’è solo un
enorme e meraviglioso sorriso”.