Nella
mente di ognuno di noi Natale ha parecchi sinonimi come neve, freddo, casa, regali,
famiglia. Sembrava quasi che quest’anno avesse deciso, come me, di prendersi un
gap year. Le canzoncine natalizie dreaming of a white xmas, let it snow, and
so on suonate a loop negli altoparlanti delle corsie del supermercato
avevano effetto solo grazie al gelo dell’aria condizionata, ma creavano un cluster quasi fastidioso non appena i
quaranta gradi del sole ti accoglievano appena dopo la cassa.
Il
24 sera niente cena coi parenti aspettando la messa di mezzanotte: pub e birra
a volontà con gli amici. Molti ragazzi, come i figli di Frank e Hayley su a
Rossgole, vanno a scuola o all’università lontano dalla città, a Sydney o
Newcastle, e Natale diventa uno dei pochi momenti dell’anno dove poter rivedere
vecchi amici e riunire vecchie compagnie. Il Belmore non è mai stato così pieno. Lì di fronte un paio di
biondine, classiche cheerleaders collegiali, sono intente ad attirare le
attenzioni del gruppo dei palestrati-tatuati-tamarri della zona, magliettine
attillate e occhiali da sole con la montatura rigorosamente bianca sul collo a
guardare all’indietro, riflettendo una notte non particolarmente assolata.
Altre ragazze al tavolo di fianco, truccate a puntino sfoggiano vestiti non da
normali sere al pub che calamitano inevitabilmente l’attenzione, a differenza
dei soliti bermuda e qualche rara camicia per gli uomini, ma si sa, per noi la
scelta degli indumenti non è mai un problema insormontabile che arriva spesso ad
assumere dimensioni catastrofiche da fine del mondo.
Storie
e storie di vita si raccontano tra risate e bevute dalle sei di sera, i
camerieri portano gli ordini a destra e a sinistra, vassoi di birra, rum, pizze,
bistecche e ritornano indietro con torri di bicchieri vuoti o spesso con i cocci
e vetri di essi raccattati sotto qualche tavolo.
Neanche
la pioggia delle dieci e mezza sembra sconvolgere l’atmosfera nel giardino: bagnati
e contenti, le chiacchere e le risate si prolungano fino a mezzanotte, finché
l’oste, dopo aver smesso di servire l’alcol, manda tutti a dormire e chiude il
bar, come in una famosa canzone di Ligabue.
La
mattina di Natale invece di precipitarci sotto il pino per vedere cosa il
povero Babbo Natale avesse portato tutto sudato sotto la classica e puntuale divisa
rossa e bianca, ci siamo incamminati lentamente a raccogliere altre sorprese
che i nostri amici cavalli ci avevano lasciato sotto altri alberi. Ma, giusto
dopo un paio di orette di lavoro, si tornava già a casa per cucinare e
preparare il cenone serale. Considerando che il pomeriggio bisognava tornare a
lavorare, infatti, il pranzo è stato leggero a base di insalata al mango,
gamberetti, fritto misto e mosche, che come al solito hanno tentato di
infilarsi dappertutto, usando forchette e bicchieri come facili passaporte
verso le nostre bocche e narici. Ma tra tutto brillavano, ovviamente, le mie
bruschette all’italiana, che hanno difeso la buona fama culinaria del nostro
paese.
Shane
e Sarah organizzano sempre il Natale a casa loro, qui a pochi passi dal nostro cottage. Irlandesi, come i loro amici
veterinari seduti al tavolo con noi, spesso è difficile considerarli come
dei veri e propri capi o superiori, sia
per la loro grande gentilezza, sia perché coi loro 26 anni sono quasi coetanei.
Shane è arrivato qui 4 anni e mezzo fa per girare l’Australia e quando la sua
passione per i cavalli l’ha portato nell’Hunter valley, non è stato difficile
per lui trovare lavoro qui a Yarraman, dove, come in molti che lavorano qui, ha
trovato lo sponsor per restare e vivere. Il suo primo Natale qui
in Australia, però, non è stato fortunato come il mio, in quanto, come ci ha
raccontato più volte, lo ha passato da solo. Sarah, la sua ragazza e a Giugno
futura moglie, lo ha raggiunto solo l’anno successivo, portando con lei il loro
You’re beautiful, il loro cavallo irlandese e Benji e Ally, i loro due cani.
A
cena c’era anche Iuri, un ragazzo ucraino, anche lui qui ormai da più di un
anno grazie alla sponsorizzazione di Henry e Arthur (i due fratelli che
gestiscono e posseggono la tenuta).
Iuri
è una persona abbastanza complicata da comprendere, sempre taciturno, parla un
inglese che sembra a tutti gli effetti russo, nonostante abbia passato 8 anni
in Inghilterra lavorando per un’altra stud.
Nonostante il suo essere silenzioso, i suoi occhi hanno sempre una strana e
vigile luce che smebra appartengano a un possibile serial-killer omicida
psicopatico che è meglio trattare con tutti i crismi, per non farlo arrabbiare.
E non perché mangia uova crude o tenta di far entrare furtivamente una
bottiglia di vodka alla festa di Natale aziendale, dove sembrava di essere
nella villa di Bacco in persona, ma perchè sempre mi ricorderò quando la prima
settimana, per far muovere una cavalla sana, che aveva deciso di voler passare
la prossima mezz’ora a mordicchiare una staccionata, si è messo ad urlare
“Davaaaaai!” e le ha molltato un paio di calci nel sedere, senza temere
minimamente la sua reazione. Impavido!
Ma,
comunque, anche lui è un bravo ragazzo e un lavoratore instancabile che passa
gran parte delle giornate come me a cercare di far funzionare il gigantesco
quanto malprogettato food mixer.
Il
tavolo per la cena era già pronto con nove sedie fin dalla mattina. A
completare il tavolo c’erano due amici irlandesi, una coppia di farmer della zona, me e Alina.
Prima
di iniziare quello che sarebbe stato un combattimento epico e senza precedenti
con la capacità di dilatazione delle pareti del mio stomaco, ho scoperto la
tradizione dei crackers, caramellone
di cartone che si fa scoppiare (da lì il nome onomatopeico) coi i propri vicini,
incrociando le braccia e tirando ognuno dalla parte opposta.
All’interno
ci sono piccole sorprese da ovetto Kinder, come piccole trottole o un
mini-pettine giallo che ho ancora qui e che nonostante le dimensione microbiche
funziona assolutamente, una coroncina di cartacrespa da indossare durante tutta
la cena, e purtroppo, una barzelletta o un colmo che raramente riesce a far
abbozzare un sorriso e spesso, invece, invita alla depressione.
La
più bella sorpresa, però, ce l’ha fatta il tempo. Dalle quattro di pomeriggio,
infatti, ha iniziato a piovere a dirotto, interrompendo una siccità di più di
un mese e mezzo, e annuvolando il cielo, ha abbassato la temperatura fino a
15-16 gradi, che è sempre primavera, ma costringendoci a indossare almeno una felpa,
è stato sufficiente per farci sentire tutti quanti un po’ più a casa
nell’emisfero boreale.
Nelle
luci delle candele un enorme tacchino, un intero prosciutto, due mega ciotole
di pure e pasticcio di patate, un timballo di frittura mista, carote, e davvero
non mi ricordo più quanto cibo fosse impigliato nel traffico delle nostre mani
che a stento cercavano di trovare un po’ di spazio sulla tavola per appoggiare
i vassoi e quanto ne è finito nel mio e negli altrui frigoriferi come scorta
per i giorni successivi.
Ma
la cosa peggiore è stata, dopo due ore, mentre ognuno stava già quasi per
rotolarsi sul divano al grido di “si salvi chi può”, scoprire che lo spirito
natalizio aveva invaso ognuno di noi a tal punto che ognuno si era sentito in
obbligo di cucinare un dolce per tutti. A fare concorrenza al mio tiramisù
c’era un enorme e massiccio timballo di cioccolato e M&M’s, un immensa
distesa di pavlova, le frittelle ucraine con crema di latte di Iuri, un paio di
altre torte e una vasca olimpionica di gelato.
Non
c’è da meravigliarsi che alle nove di sera il nostro Natale si è concluso
addormentandoci ognuno davanti alla televisione a vedere Home Alone (nient’altro che il famoso: Mamma ho perso l’aereo).
Incredibilmente
ho, però, ricevuto dei regali. Arthur, il proprietario che si occupa della
parte di farm dove lavoro, oltre ad invitarci a casa sua per un familiare
aperitivo il 24 sera, nonostante io lavori qui da sole tre settimane si è
preoccupato di avere un piccolo pacchettino regalo anche per me, come per
tutti, con un portafoglio dove infilare i 150 dollari di bonus che abbiamo
appena ricevuto per ringraziarci del nostro “duro e professionale” lavoro.
Shane e Sarah, invece, da buoni irlandesi, ci hanno regalato un boccale di
birra di plastica che, se tenuto in frizer, aiuta a mantenere fresca la birra a
lungo. Purtroppo non ho potuto contraccambiare, perché la cosa mi ha colto alla
sprovvista, ma adesso che sono iniziate le ferie e ho 5 giorni di vacanza per
Capodanno, avrò il tempo di pensare a qualcosa.
Domenica
mattina mi aspetta il treno per Sydney. Dopo quasi 3 mesi di vita campagnola
rivedo la grande metropoli e tutti i miei amici di Catherine Street (tutti
trasferiti altre case, dopo continui problemi con Internet e litigate furiose)
e del Caffè Amici. Il capodanno coi fuochi sul mare sotto l’ Harbour e l’Opera
House dicono qui che sia qualcosa di speciale. Ma cosa in tutto questa
esperienza non lo è?