Fu proprio mentre l’acrobata si fermò con i
palmi delle mani aperte, in quel secondo sospeso nell’incredulità che precede
lo scrosciare di applausi dalla platea che mi venne in mente l’Università e gli
esami dati di Estetica, in particolare quello del corso di Poetica e Retorica.
La lacrima nata dalla commozione per la
bellezza e la perfezione a cui avevo assistito mi carezzò un pensiero e
improvvisamente la mia mente iniziò il suo turbinare filosofico, la sua
costruzione di concetti, la volontà di gareggiare poeticamente con quel corpo
così perfettamente gravitazionale, ma in un’altra dimensione geometrica.
La retorica. Non c’è niente altro che la
filosofia o la letteratura possa usare per essere arte, perché essa non ha
corpo, e ogni cosa per essere poetica ha bisogno di un corpo. Anch’essa ha un iperbole, piedi, accenti e
persino versi, può intrecciarsi in un chiasmo, può usare i fari di scena per
mettere accenti semantici e prosastici, può usare i costumi della metafora e dell’allegoria per creare i
suoi sogni e illusioni.
Cos’è l’esperienza estetica?
C’è chi prova a rispondere con libri e libri
di filosofie, ci sono pagine e pagine di racconti che provano a darne un’idea,
persino a ricreare o a suscitare questa stessa esperienza.
E il naufragare è dolce in
questo mare
Il mare di pensieri,
costruzioni, chiacchere e distintivi.
Ci sono persone che
invece guardano una coppia di funamboli volare nel vuoto di un tendone
giallo-blu di un circo, uomini verdi volare sui tappeti elastici disegnando
traiettorie senza leggi fisiche, contorsionisti in equilibrio nell’etere
tracciare figure che per essere descritte i più evoluti calcoli matematici di
oggi si devono ancora affidare a numeri irrazionali. Irrazionali come la punta
di pazzia che ci vuole per volare a dieci metri lassù, irrazionali perché la
mente spesso è portata a cercare un trucco inesistente per uscire da un cocente
e improvviso scacco matto.
Al corpo appartiene
la poetica, alla mente appartiene la retorica, e la mente è come un bambino che
fa rumore, è uno scarso cantante che urla e fa mille vocalizzi per farsi
notare, è uno scarso artigiano che ricopre d’oro un pezzo di rame, è un avaro
invidioso, un egocentrico che non accetta di restare in secondo piano.
Si dice “i pensieri
prendono corpo”, i pensieri sono fantasmi, sono come Lord Voldemort nei primi
Harry Potter, spiriti alla ricerca di una struttura che li faccia muovere nello
spazio.
Il corpo è invece un
oceano calmo al tramonto, un leggero sussurro immobile e timido nel vento, un
bambino che va preso per mano, è poesia, è azione ed essendo azione è vita.
I corpi comunicano
con emozioni, le menti con i concetti. E siccome non c’è concetto che spieghi
la meraviglia, nell’esperienza artistica sono i corpi che comunicano, sono i
cuori che battono più veloci del battere della mani, sono le lacrime che
scendono improvvise più veloci dei sipari, sono le bocche che si spalancano
come fossero legate alle funi a cui gli artisti si aggrappano per volare.
Ma questa è già
retorica, questa è già filosofia, queste sono parole che gareggiano con con le
immagini che le hanno suscitate, sono parole in totale “complesso edipico”, che
si gonfiano a vista d’occhio come la rana di Erodoto, esseri cocciuti che non
ci stanno proprio ad arrendersi all’evidenza di non essere abbastanza per descrivere
l’esperienza. Il corpo non ha bisogno di descrivere, il corpo vive. La mente è
in platea, il corpo è sul palco della vita.
Ma questo è un altro trucco della gelosa retorica che punta anch’essa a
meravigliare.
Non è dire “ti amo”
che emoziona o “ti odio” che ferisce, ma sono gli occhi che lo dicono. Ma
questo è ancora un altro trucco della retorica. Mannaggia è impossibile
resistere alla tentazione di cercare di suscitare la meraviglia con le parole,
perché è proprio suscitando meraviglia che le parole possono provare per via
traversa (non tramite se stesse, ma tramite l’emozione) a rievocare l’esperienza.
Trucchi, trucchi,
trucchi. Quei corpi non avevano trucchi, avevano tecniche, erano lì in quel
momento come macchine perfette programmate da ore e ore di allenamenti e di
fatiche e non avevano bisogno d’altro che essere ammirati. Come vorrei che queste
lettere d’inchiostro virtuale fossero come quegli acrobati, come lo vorrebbe la
mia mente.
La gioia del circo,
dei suoi colori, delle sue musiche, della sua particolare atmosfera non
dovrebbe probabilmente essere raccontata, perché è proprio fatta per fermare le
parole, per spalancare le bocche e bloccare il respiro così da impedirne
qualsiasi articolazione.
Potrebbe essere
descritta da quel bambino di sette anni che dopo lo spettacolo si rotolava nel
prato cercando di fare la verticale… o forse non andrebbe descritta affatto.
Forse dovrebbe essere solo la meravigliosa magia di un momento, l’istante in
cui l’intero universo sparisce dall’orizzonte e si concentra in un solo punto.
Una overdose di emozioni, una sbronza che lascia il mal di testa la mattina
dopo, una bellissima parentesi, una fuga momentanea dalla monotonia della
realtà.
Se è vero che il
corpo è poetico allora la poesia risponde alle leggi della vita che per quanto
sia meravigliosa non dura per sempre, e che per durare non ha bisogno di per sé
di un altro significato che del risplendere di se stessa. E’ come la luna. Una
gigantesca sfera rocciosa sospesa in equilibrio gravitazionale migliaia di
chilometri sopra le nostre teste. Il resto, per quanto sia bellissimo, è Retorica.
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