domenica 2 giugno 2013

Poetica e Retorica (riflessioni per la bellezza del Cirque du Soleil)


Fu proprio mentre l’acrobata si fermò con i palmi delle mani aperte, in quel secondo sospeso nell’incredulità che precede lo scrosciare di applausi dalla platea che mi venne in mente l’Università e gli esami dati di Estetica, in particolare quello del corso di Poetica e Retorica.
La lacrima nata dalla commozione per la bellezza e la perfezione a cui avevo assistito mi carezzò un pensiero e improvvisamente la mia mente iniziò il suo turbinare filosofico, la sua costruzione di concetti, la volontà di gareggiare poeticamente con quel corpo così perfettamente gravitazionale, ma in un’altra dimensione geometrica.
La retorica. Non c’è niente altro che la filosofia o la letteratura possa usare per essere arte, perché essa non ha corpo, e ogni cosa per essere poetica ha bisogno di un corpo.  Anch’essa ha un iperbole, piedi, accenti e persino versi, può intrecciarsi in un chiasmo, può usare i fari di scena per mettere accenti semantici e prosastici, può usare i costumi  della metafora e dell’allegoria per creare i suoi sogni e illusioni.
Cos’è l’esperienza estetica?
C’è chi prova a rispondere con libri e libri di filosofie, ci sono pagine e pagine di racconti che provano a darne un’idea, persino a ricreare o a suscitare questa stessa esperienza.

E il naufragare è dolce in questo mare

Il mare di pensieri, costruzioni, chiacchere e distintivi.
Ci sono persone che invece guardano una coppia di funamboli volare nel vuoto di un tendone giallo-blu di un circo, uomini verdi volare sui tappeti elastici disegnando traiettorie senza leggi fisiche, contorsionisti in equilibrio nell’etere tracciare figure che per essere descritte i più evoluti calcoli matematici di oggi si devono ancora affidare a numeri irrazionali. Irrazionali come la punta di pazzia che ci vuole per volare a dieci metri lassù, irrazionali perché la mente spesso è portata a cercare un trucco inesistente per uscire da un cocente e improvviso scacco matto.
Al corpo appartiene la poetica, alla mente appartiene la retorica, e la mente è come un bambino che fa rumore, è uno scarso cantante che urla e fa mille vocalizzi per farsi notare, è uno scarso artigiano che ricopre d’oro un pezzo di rame, è un avaro invidioso, un egocentrico che non accetta di restare in secondo piano.
Si dice “i pensieri prendono corpo”, i pensieri sono fantasmi, sono come Lord Voldemort nei primi Harry Potter, spiriti alla ricerca di una struttura che li faccia muovere nello spazio.
Il corpo è invece un oceano calmo al tramonto, un leggero sussurro immobile e timido nel vento, un bambino che va preso per mano, è poesia, è azione ed essendo azione è vita.
I corpi comunicano con emozioni, le menti con i concetti. E siccome non c’è concetto che spieghi la meraviglia, nell’esperienza artistica sono i corpi che comunicano, sono i cuori che battono più veloci del battere della mani, sono le lacrime che scendono improvvise più veloci dei sipari, sono le bocche che si spalancano come fossero legate alle funi a cui gli artisti si aggrappano per volare.
Ma questa è già retorica, questa è già filosofia, queste sono parole che gareggiano con con le immagini che le hanno suscitate, sono parole in totale “complesso edipico”, che si gonfiano a vista d’occhio come la rana di Erodoto, esseri cocciuti che non ci stanno proprio ad arrendersi all’evidenza di non essere abbastanza per descrivere l’esperienza. Il corpo non ha bisogno di descrivere, il corpo vive. La mente è in platea, il corpo è sul palco della vita.  Ma questo è un altro trucco della gelosa retorica che punta anch’essa a meravigliare.
Non è dire “ti amo” che emoziona o “ti odio” che ferisce, ma sono gli occhi che lo dicono. Ma questo è ancora un altro trucco della retorica. Mannaggia è impossibile resistere alla tentazione di cercare di suscitare la meraviglia con le parole, perché è proprio suscitando meraviglia che le parole possono provare per via traversa (non tramite se stesse, ma tramite l’emozione) a rievocare l’esperienza.
Trucchi, trucchi, trucchi. Quei corpi non avevano trucchi, avevano tecniche, erano lì in quel momento come macchine perfette programmate da ore e ore di allenamenti e di fatiche e non avevano bisogno d’altro che essere ammirati. Come vorrei che queste lettere d’inchiostro virtuale fossero come quegli acrobati, come lo vorrebbe la mia mente.
La gioia del circo, dei suoi colori, delle sue musiche, della sua particolare atmosfera non dovrebbe probabilmente essere raccontata, perché è proprio fatta per fermare le parole, per spalancare le bocche e bloccare il respiro così da impedirne qualsiasi articolazione.
Potrebbe essere descritta da quel bambino di sette anni che dopo lo spettacolo si rotolava nel prato cercando di fare la verticale… o forse non andrebbe descritta affatto. Forse dovrebbe essere solo la meravigliosa magia di un momento, l’istante in cui l’intero universo sparisce dall’orizzonte e si concentra in un solo punto. Una overdose di emozioni, una sbronza che lascia il mal di testa la mattina dopo, una bellissima parentesi, una fuga momentanea dalla monotonia della realtà.
Se è vero che il corpo è poetico allora la poesia risponde alle leggi della vita che per quanto sia meravigliosa non dura per sempre, e che per durare non ha bisogno di per sé di un altro significato che del risplendere di se stessa. E’ come la luna. Una gigantesca sfera rocciosa sospesa in equilibrio gravitazionale migliaia di chilometri sopra le nostre teste. Il resto, per quanto sia bellissimo, è Retorica.

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