Kim è una ragazza irlandese che ho conosciuto
Sabato scorso quando sono andato a trovare Alina, la mia ex-collega, nel nuovo
allevamento di cavalli da corsa in cui adesso lavora, non molto distante da qui.
La maggior parte dei backpackers che si
addentrano nella terra australiana per riuscire a fare il loro 88 giorni di
farm, non è destinata all’allevamento o alle numerose miniere sparse qua e là,
ma alla fruit picking.
“A rough
slave’s job”. Più o meno è stato questo il riassunto
in una sola frase di tutta l’esperienza in una gigantesca coltivazione di
fragole. Piccole piantine divise in lines
di circa un metro ciascuna su cui stare chinati per circa una decina di ore
al giorno per la modica cifra di 9 cents al metro. In totale 16 dollari in due
settimane. Detto all’australiana il prezzo di 4-5 chili di mele o se preferite
8 bottiglie d’acqua naturale.
Ovviamente ci sono farm di fruit picking che per quanto massacranti
per la propria spina dorsale e per il proprio morale fruttano leggermente di
più e danno comunque l’opportunità di conoscere tanti altri ragazzi da tutto il
mondo (non come nell’isolamento della collina di Rossgole). Ma molti posti
marciano sul tentativo disperato di quasi tutti di ottenere il secondo anno di
visto e tra i backpackers si narrano
storie di storie di ragazzi e ragazze che hanno passato giorni davvero duri o
che se la sono vista davvero brutta.
Un po’ come la mia vita da cane, mentre ( o
ero a questo punto) tentavo di radunare tutte insieme le mucche e i vitelli del
paddock West Gordon. E infilati in un piccolo canyon e poi in una
piccola gola, e risali i torrenti e sballonzola tra le rocce, va’ a finire che
se non hai molta esperienza rischi di volare per terra. Ed è proprio quello che
è accaduto Martedì, mentre cercavo di venire fuori da una piccola gola a “V”
nel cui fondo, sa Dio come, ero capitato seguendo due mucche ribelli.
Dritto verso la salita! E ce l’avevo quasi
fatta e ce l’avrei fatta del tutto se nascosto tra l’erba non ci fosse stato un
grosso pezzo di legno che mi ha fatto girare il manubrio. Appena un poco di
traverso, in un secondo il quad si è sollevato su due ruote e si è ribaltato.
Per fortuna di lato.
Grazie a Dio quelle piccole macchinine sono
state progettate abbastanza bene, dato che il manubrio e il back sono leggermente rialzati rispetto
alla sella. Cadendo lateralmente, la
motocicletta ha iniziato a rotolare sopra di me, ma grazie a quel piccolo
spazio sono riuscito innanzitutto a salvare le gambe e poi con una mano a
evitare di farmi arrivare la sella dritta sul setto nasale. Mentre ancora
leggermente scioccato, guardando le mie mani miracolosamente intatte, pensavo
che avrei potuto prendere un bel 10 all’accademia di formazione per gli
Stuntmen, (e perfino la lode a quella dei pirla), il quad è ruzzolato sempre
più velocemente fino al fondo della “V” fermando la sua corsa, dopo essersi
cappottato sei-sette volte sul fianco.
Macchine robustissime: meccanica totalmente
intatta, muso e luci come nuovi, il problema principale è che il dietro si è
leggermente stortato, ma senza intaccare minimamente la stabilità di marcia del
veicolo.
Non so come e per quale miracolo del cielo io
lavori ancora qui e non sia stato licenziato in tronco, però penso che per
questo mese il mio stipendio sarà devoluto alla riparazione dei danni. In
compenso, volendo tranquillizzare a casa, ho solo sbucciature varie ed
eventuali sui gomiti, su tutta la schiena, sulle ginocchia, e una caviglia malconcia
che, però, si è già sgonfiata.
Ma fossero solo questi i problemi del mastering delle mucche! Insieme a loro,
infatti, viaggia anche il toro. I tori qui sono dei veri e propri bisonti,
stupidi e de-cornutizzati, enormi ammassi di carne che non fanno altro che
muggire e cercare di evadere dai paddock a cui sono stati assegnati, rompendo fences e ammaccando cancelli. Ma d’altra parte si
sa: le mucche del vicino sono sempre le più gnocche e ogni toro non si
accontenta delle 40 e passa vacche con cui deve copulare in circa una decina di
settimane.
Animali assolutamente territoriali, quando
sono da soli con il loro arem sono dei paciocconi beati e tranquilli. Negli
yard, quando vengono raccolti insieme alle mucche e ai vitelli, non creano mai
problemi: i figli sono affari delle madri, di madri ce ne sono 40 diverse ogni
anno, quindi la loro filosofia è quella del menefreghismo
più totale.
Oggi però, sotto il diluvio universale,
stavamo muovendo una cattle (=mandria)
da un paddock lontano per poter iniziare subito Lunedì con il branding dei circa 300 vitellini
rimasti. I paddocks dell’immensa parte Sud-Ovest della tenuta fluiscono tutti
nella Line una striscia di terra che
dalla Station arriva fino ai confini
della proprietà. Passando per di là, molti animali curiosi si avvicinano alle
rispettive recinzioni per guardare la scena.
Tutto tranquillo finché il toro nero che era
con la nostra cattle non ha
incontrato lo sguardo del toro bianco parcheggiato dietro la fence di “nonmiricordoancorailnomedituttiiquarantadiversipaddockdellatenuta”.
Strano modo hanno i tori per sfidarsi. Prima
di tutto si inchiodano ed è quasi impossibile farli muovere dalla loro
posizione. Poi con la zampa anteriore iniziano a scavare per terra, respirando
sempre più affannosamente. Quando l’avversario risponde allo stesso modo, i due
contendenti abbassano la testa continuandosi a guardare intensamente,
aumentando il respiro e scavando più freneticamente. Questa fase può andare
avanti anche diversi minuti, finché, quasi contemporaneamente, uno si lancia
contro l’altro schiantandosi testa contro testa.
Su un piccolo quad, allora, non si può fare
molto, perché il toro inizia a sfidare chiunque gli capiti a tiro e con una
testata è capace di ribaltarti. ( “mò basta però!”)
Così Fos ha dovuto prendere il pick-up da lavoro e affrontare il toro
con il paraurti. Uno scontro epico, in cui nessuno dei due contendenti andava
tanto per il sottile. Fos continuava letteralmente a investire l’animale che
rispondeva a testate, cercando di divincolarsi per andare dal suo vero
avversario, l’enorme bestione bianco che continuava a muggire e a raschiare il
terreno con la zampa dietro di noi.
Dieci minuti di dura lotta portata
trionfalmente a termine, con il povero Tic che da bravo cane da lavoro,
cercava, abbaiando, di far rientrare il toro nei ranghi, ma per quando
temerario, doveva fare i conti con le proporzioni sfavorevoli ( 1 a 30 almeno)
e ogni volta che il bestione puntava la
testa verso di lui, non poteva far altro che rintanarsi dietro la mia motocicletta
piagnucolando spaventato.
Vita da cani è anche quella delle lepri che si
nascondono nelle tubature di scorta parcheggiati vicino alla mia stanza.
Mercoledì, infatti, ho potuto assistere ad una singolare caccia alla lepre.
Protagonisti io, Frank e suo padre e i tre piccoli cagnolini domestici (due
spanne massimo di lunghezza) Dash, Minnie e Jack.
Guardando in tutti i tubi, appena se ne trova
uno in cui si vede un piccolo leprottino, si prendono due bastoni e si copre
l’estremità del primo con il fondo in una bottiglia di plastica, esattamente
del diametro del tubo. And that’s it!
Molto semplice e artigianale come cosa: Frank da una parte infilava i bastoni nei
tub, dall’altra Albert, suo padre, aspettava che l’animale fosse spinto fuori e
afferratolo velocemente, con un rapido movimento delle mani lo uccideva tirandogli
il collo, lasciandolo i tre cagnetti affamati a lottare per la preda.
Finale thriller
quando Minnie ha iniziato a ciondolare e a camminare perdendo l’equilibrio.
Subito portata verso la città per paura di un morso di un serpente, “it turns out to be just an heating”. Finali
sempre da favola a Rossgole.
Vita da cani... chi ha coniato questa espressione sicuramente non è mai stato
qui, e sicuramente non ha mai conosciuto questi Minnie e Dash, i preferiti dal
padrone, liberi di andare dove vogliono, con una cuccetta morbida e al caldo in
casa, rispettati e temuti come dei
capetti mafiosi dagli altri cani grandi il triplo, addirittura ammessi nello
yard durante il branding (nonostante
siano un grande intralcio per un lavoro che già rischiede grande attenzione e
velocità)per permettere loro la degustazione dei testicoli di torello ancora
caldi, appena strappati dall’animale. O almeno questo vale per Dash, Minnie non
entra più dove ci sono le mucche. Una volta ha preso un calcione che l’ha quasi
messa k.o…
E di calcioni ne prendono e ne rischiano Cif,
Tick, Bess, Ella, Max, George, Sam, Scott e Redclif, quando saltano dentro i
corridoi di staccionata tra le gambe delle pecore per farle avanzare, o quando
corrono instancabili attorno alla mandria o al gregge per tenere uniti gli
animali. Sono loro infondo i veri pastori. Sono loro che rendono il lavoro più
facile, intelligenti e diligenti per
quanto a volte, giocherelloni o troppo volenterosi, si trovino anche loro nel
posto sbagliato (di fronte: tutti gli animali si conducono spingendoli da
dietro). Ma per un paio di coccole e una ciotolina di croccantini dal proprio
padrone ucciderebbero. Ucciderebbero come Boss, il cane da caccia al maiale di
Kevin, che l’altra sera è tornato con il muso mezzo distrutto dalla zampata
della preda.
E io li posso capire perché passo la gran
parte dei giorni a saltare su e giù dalle recinzioni, a camminare e a correre
dietro ai gregge (infatti, quando c’è Frank nei paraggi non posso più guidare
il quad nei paddocks), a guardare negli
occhi i vitelli spaventati, incastrato tra di loro in due-tre metri quadrati,
mentre iniziano a scalciare e a saltare impazziti.
Questa è proprio e letteralmente una vita da
cani.
….
I raggi del sole non sono qualcosa di
inventato dai disegni dei bambini.
Li puoi vedere espandersi verso di te, sottili
come piccole lame squadrate, tagliare in piccoli batuffolini sfilacciati la
lana delle nuvole, a rallentatore, sopra la tua testa.
Scrivere per far vedere, dipingere per
raccontare. Poco importa la forma, ciò che si imprime sulla retina in quel
secondo non ha linguaggio per essere comunicato, se non quello di essere lì,
presente, tutt’uno con il leggero venticello che ti accarezza i vestiti
portando con sé le voci di tutti gli animali che invocano il sole come a dirgli
“non andare! Aspetta ancora un po’…”
Da est a ovest ogni centimetro di cielo ha un
pigmento diverso, un mosaico di piccole tessere che conducono dolcemente gli
occhi verso la linea delle colline, sopra cui aleggia compatta la lontana nube
bianca, rimasuglio della tempesta del pomeriggio. Se la si fissa per qualche
secondo, prima che il sole bruci i tuoi iridi, si può capire come gli antichi e
gli scrittori di favole possano aver pensato che gli Dei e un giorno anche gli
uomini potessero costruirci sopra castelli e città.
Sedersi e osservare il tramonto, non c’è
miglior modo di finire una settimana.
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