Fraser
Island e le Withsunday dovevano essere il centro del nostro viaggio. Posti
paradisiaci che avrebbero reso coi loro colori questa vacanza una esperienza
indimenticabile che avrebbe occupato pagine e pagine di bellissimi ricordi.
Invece
si sono trasformati nell’esperienza più brutta e deludente della mia avventura,
soprattutto, nel caso delle Whitsunday, da un punto di vista umano. Ma partiamo
con ordine.
Fraser
Island è un’isola di sabbia e foresta quasi incontaminata, terra aborigena che
dista dalla costa del Queensland solo qualche centinaio di metri, il cui nome
riassume da solo la bellezza del posto: Fraser nella lingua dei primi abitanti
del continente significa, infatti, “Paradiso”.
Un
posto unico dove è severamente vietato fare il bagno nell’oceano per le forti
correnti e la costante presenza di meduse-killer e di squali, ma dove laghi
limpidissimi, torrenti, e piccole vasche create dagli scogli lungo la costa
costellano l’intero posto. Tra tutti questi famosissime sono le acque del Lago
McKenzie con i suoi pesci e i suoi colori purissimi.
Ogni
gruppo, il giorno prima dello sbarco-in-paradiso, deve partecipare ad un briefing informativo che consiste in un’oretta
circa di filmati vari che forniscono le istruzioni di base per la guida su sabbia
dei fuoristrada e per il comportamento da tenere con i veri e primitivi
abitanti dell’isola: i dingos.
Le
64 persone partecipanti al tour sono divise in gruppi da 8 ognuno
corrispondente ad un fuoristrada, che ognuno di noi a turno ha dovuto guidare
tra i sentierini impervi della foresta subtropicale e tra l’infinita spiaggia,
gestendo al meglio l’uso delle marce e della frizione e cercando di evitare il
più possibile il contatto con l’acqua salata del mare, vero e proprio pericolo
per l’usura dei veicoli.
I
dingos, invece, sono dei cani selvatici caratterizzati da un atteggiamento
molto aggressivo dovuto al fatto che allo stato naturale vivono sempre
“affamati” (they are starving). Per
questo, ogni volta che ci si muove per Fraser, è consigliabile non essere mai
da soli e tenere sempre sott’occhio i bambini. Inoltre è severamente vietato
dare loro da mangiare, in quanto se perdono la loro naturale paura dell’uomo (o
del gruppo di uomini) i dingos non diventano animali affettuosi, ma degli
affamati selvatici che vedono questi strani animali bidepi come fonte di cibo,
e ciò porta al moltiplicarsi delle aggressioni e degli atteggiamenti ostili e
pericolosi verso i visitatori dell’isola. Ciò costringe i rangers
sostanzialmente ad abbattere i più incontrollabili.
Nonostante
la mattina della partenza cadesse già una pioggia abbastanza copiosa gli
organizzatori hanno deciso di iniziare comunque il tour.
Qui
in Australia coi viaggi organizzati vige una regola: non importa se cade il
mondo, qualunque cosa succeda, se un tour inizia non c’è possibilità di avere
indietro neanche un centesimo della cifra pagata.
Così
senza informare nessuno che il tempo stava andando peggiorando, due guide ci
hanno fatto strada verso il piccolo traghetto che fa da continua spola tra la
punta sud dell’isola e una piccolo limbo desolato di sabbia a 20 minuti da
Rainbow beach.
La
sistemazione sull’isola era in un piccolo campeggio, ogni gruppo aveva la sua
cesta di cibo da cucinare autonomamente nei fornelli del campo e la propria
immancabile razione di alcool ordinata il giorno prima. Essendo molto vicini
all’insediamento aborigeno c’erano poche, ma semplici regole da seguire: la
prima era che non si poteva fare rumore dopo le 11 di notte, la seconda è che
non si poteva fischiare o sputare sul fuoco, in quanto entrambi gli
atteggiamenti portano cattivi spiriti sull’isola e sui suoi abitanti. Per il
resto c’erano 2 docce per gli uomini e 2 per le donne , il che rendeva la
situazione non molto confortevole in giorni di pioggia ininterrotta.
Nonostante
il tempo brutto, le guide ci hanno comunque condotto in alcuni laghi e
fiumiciattoli dove l’attrazione principale, però, era quella di fare il bagno.
Il
piccolino e suggestivo lago Wabby, spuntato quasi per caso tra la foresta di piante
e le altissime dune di sabbia, si raggiungeva, per esempio, dopo circa 40
minuti di cammino. Non potendo portare con noi magliette o asciugamani, in
quanto per la pioggia sarebbero diventati letteralmente zuppi, ognuno di noi è
partito dalle macchine a petto nudo e con il solo costume da bagno. All’andata
non è stato poi così male. Ma quando, dopo 20 minuti di bagno era arrivato il
momento di iniziare a tornare indietro, pioggia tropicale e vento ci hanno
sorpreso, trasformando Fraser Island in Freezer Island.
E
così è stato anche per il giorno successivo dove abbiamo fatto il bagno in
Champagne Pool, dove le onde del mare schiantandosi contro gli scogli creano
una finissima spuma bianca, e nell’Hungover creek, un piccolo fiumiciattolo
dove la corrente leggera ti culla, trasportandoti senza accorgerti sotto il
tetto altissimo degli alberi (e da qui il soprannome: in inglese l’hungover è il “post-sbronza”).
Bellissimi posti sotto la luce del sole, ma rovinati dalle condizioni e dal
maltempo, sotto cui il supposto paradiso mi ha fatto persino rimpiangere il nostro
Idroscalo.
La
seconda mattina a rendere ancora più fantozziana la sfortuna, ci si è messo
pure qualcuno che ubriaco fradicio la sera prima, ha avuto la brillante idea di
aprire lo sportello posteriore della nostra macchina e vomitarci allegramente
dentro, sopra tutti i costumi e asciugamani che avevamo lasciato lì per non
portarli, bagnati, nelle tende.
La
cosa incredibile è, infatti, che in un’isola selvaggia e comunque con discreti
pericoli, l’agenzia che organizza il tour vende, tra gli altri tipi di alcool,
cartoni di 4.4 litri di vino “goone” (vino di bassa qualità fatto apposta per
sbronzarsi a “costo-zero”) per 12 dollari, nonostante in passato si siano
registrati casi di gente che sotto effetto dell’alcool ha defecato nelle tende,
vomitato dappertutto, si è allontanato dal campeggio da solo nella notte,
tornando mezzo sbranato dai dingos, o di ragazze che diciamo non erano molto
coscienti che stavano avendo un rapporto sessuale, a volte con più di una
persona. Ma nel nostro gruppo, a dire la verità, l’alcool e la buona compagnia
sono stati un buon aiuto per sorridere di ogni disagio e farsi quattro risate,
cantare e ballare, perché infondo, nonostante tutto, non si può dire che non
abbiamo avuto del good time e dei
momenti belli e divertenti.
Non
possono dire lo stesso gli sventurati che sono stati condotti scandalosamente
sull’isola il giorno dopo, nonostante fosse chiaro che un tornado stava per
abbattersi sull’isola e sulla zona circostante e che, come poi si è dimostrato,
c’era il rischio di rimanere intrappolati laggiù, senza la possibilità di tonare
alla civiltà. Ecco il riassunto di ciò che è accaduto ai più sfortunati: Arrivati
al Lago McKenzie (il posto più famoso dell’isola che noi non abbiamo potuto
visitare), la macchina si è rotta, i finestrini non si riuscivano più ad alzare,
mentre la guida cercava di riparare il danno ha rotto il cartone di goone, e
così fradici di pioggia e puzzolenti di vino hanno passato quasi dieci ore
bloccati laggiù, prima di raggiungere il campeggio a notte fonda alle nove e
mezza di sera, dove, non essendo ancora pronte, si sono pure dovuti montare la
propria tenda.
Il
peggio però doveva ancora venire. Tornati indietro da Fraser abbiamo realizzato
che la pioggia che era caduta copiosa sopra di noi era dovuta ad un ciclone proveniente
da nord, dove stava facendo ingenti danni: strade allagate, vento fortissimo,
fiumi che straripano, connessione ad internet e rete telefonica saltata.
Avevamo
prenotato per oggi, Lunedì 28, la nostra piccola crociera alle Whitsunday, 400
e passa dollari per uno dei posti più belli in assoluto di tutto il continente,
ciò che aspettavamo davvero fin dal quando abbiamo lasciato Yarraman.
Il
biglietto dice che non è possibile spostare la crociera oltre le 72h e che non
si ha diritto a nessun risarcimento.
Ma
72h prima eravamo naufragati su Fraser Island senza alcuna connessione
telefonica con il mondo reale e senza sapere nulla del tornado e, tornati
indietro (48 ore prima) non avevamo alcuna possibilità di raggiungere Airlie
Beach perché bus, treni e aerei erano totalmente bloccati e incapaci di andare
verso nord. La risposta è stata praticamente che, nonostante circa il 75% dei
backpackers (e non dei milionari!) che dovevano salpare questa mattina non
avrebbe fatto in tempo a unirsi all’equipaggio, erano “fatti nostri” e che la
barca, siccome al nord splendeva il sole, sarebbe salpata lo stesso e con lei i
nostri soldi.
Così
ora siamo fermi per 4 giorni in Rainbow beach, il posto peggiore dovete potere
rimanere incastrati, perché non c’è assolutamente niente da fare e tra la gente
ammassata nelle camere e sui pavimenti del comunity
center diciamo che l’atmosfera non è propriamente festiva, ma stressante
perché gli autobus cambiano idea di quando passare o meno ogni due ore, con la
conseguente fila all’agenzia per riuscire ad assicurarsi un posto.
In
tutto questo avrei voluto raccontare che per la prima volta ho cavalcato
un’onda sulla tavola da surf, che sono “goofie” perché il mio piede sinistro è
il mio back foot, che surfare è una
delle cose più divertenti e faticose che si possano provare, ma ora devo
staccare perché in 3 giorni sto cambiando il mio autobus e il mio programma di
viaggio per la quarta volta: sembra che anche Magnetic Island debba saltare…
riusciranno i nostri eroi ad arrivare almeno a Cairns per il 4 Febbraio per la
prima immersione nella Barriera Corallina?
P.s.
Autobus
prenotato: 1 febbraio Rainbow Beach- Mission beach: 26 ore di viaggio, con 2
ore e mezza di sosta. Il “meglio” deve ancora venire…