mercoledì 30 gennaio 2013

un tornado troppo costoso


Fraser Island e le Withsunday dovevano essere il centro del nostro viaggio. Posti paradisiaci che avrebbero reso coi loro colori questa vacanza una esperienza indimenticabile che avrebbe occupato pagine e pagine di bellissimi ricordi.
Invece si sono trasformati nell’esperienza più brutta e deludente della mia avventura, soprattutto, nel caso delle Whitsunday, da un punto di vista umano. Ma partiamo con ordine.

Fraser Island è un’isola di sabbia e foresta quasi incontaminata, terra aborigena che dista dalla costa del Queensland solo qualche centinaio di metri, il cui nome riassume da solo la bellezza del posto: Fraser nella lingua dei primi abitanti del continente significa, infatti, “Paradiso”.
Un posto unico dove è severamente vietato fare il bagno nell’oceano per le forti correnti e la costante presenza di meduse-killer e di squali, ma dove laghi limpidissimi, torrenti, e piccole vasche create dagli scogli lungo la costa costellano l’intero posto. Tra tutti questi famosissime sono le acque del Lago McKenzie con i suoi pesci e i suoi colori purissimi.
Ogni gruppo, il giorno prima dello sbarco-in-paradiso, deve partecipare ad un briefing informativo che consiste in un’oretta circa di filmati vari che forniscono le istruzioni di base per la guida su sabbia dei fuoristrada e per il comportamento da tenere con i veri e primitivi abitanti dell’isola: i dingos.
Le 64 persone partecipanti al tour sono divise in gruppi da 8 ognuno corrispondente ad un fuoristrada, che ognuno di noi a turno ha dovuto guidare tra i sentierini impervi della foresta subtropicale e tra l’infinita spiaggia, gestendo al meglio l’uso delle marce e della frizione e cercando di evitare il più possibile il contatto con l’acqua salata del mare, vero e proprio pericolo per l’usura dei veicoli.
I dingos, invece, sono dei cani selvatici caratterizzati da un atteggiamento molto aggressivo dovuto al fatto che allo stato naturale vivono sempre “affamati” (they are starving). Per questo, ogni volta che ci si muove per Fraser, è consigliabile non essere mai da soli e tenere sempre sott’occhio i bambini. Inoltre è severamente vietato dare loro da mangiare, in quanto se perdono la loro naturale paura dell’uomo (o del gruppo di uomini) i dingos non diventano animali affettuosi, ma degli affamati selvatici che vedono questi strani animali bidepi come fonte di cibo, e ciò porta al moltiplicarsi delle aggressioni e degli atteggiamenti ostili e pericolosi verso i visitatori dell’isola. Ciò costringe i rangers sostanzialmente ad abbattere i più incontrollabili.
Nonostante la mattina della partenza cadesse già una pioggia abbastanza copiosa gli organizzatori hanno deciso di iniziare comunque il tour.
Qui in Australia coi viaggi organizzati vige una regola: non importa se cade il mondo, qualunque cosa succeda, se un tour inizia non c’è possibilità di avere indietro neanche un centesimo della cifra pagata.
Così senza informare nessuno che il tempo stava andando peggiorando, due guide ci hanno fatto strada verso il piccolo traghetto che fa da continua spola tra la punta sud dell’isola e una piccolo limbo desolato di sabbia a 20 minuti da Rainbow beach.
La sistemazione sull’isola era in un piccolo campeggio, ogni gruppo aveva la sua cesta di cibo da cucinare autonomamente nei fornelli del campo e la propria immancabile razione di alcool ordinata il giorno prima. Essendo molto vicini all’insediamento aborigeno c’erano poche, ma semplici regole da seguire: la prima era che non si poteva fare rumore dopo le 11 di notte, la seconda è che non si poteva fischiare o sputare sul fuoco, in quanto entrambi gli atteggiamenti portano cattivi spiriti sull’isola e sui suoi abitanti. Per il resto c’erano 2 docce per gli uomini e 2 per le donne , il che rendeva la situazione non molto confortevole in giorni di pioggia ininterrotta.
Nonostante il tempo brutto, le guide ci hanno comunque condotto in alcuni laghi e fiumiciattoli dove l’attrazione principale, però, era quella di fare il bagno.
Il piccolino e suggestivo lago Wabby, spuntato quasi per caso tra la foresta di piante e le altissime dune di sabbia, si raggiungeva, per esempio, dopo circa 40 minuti di cammino. Non potendo portare con noi magliette o asciugamani, in quanto per la pioggia sarebbero diventati letteralmente zuppi, ognuno di noi è partito dalle macchine a petto nudo e con il solo costume da bagno. All’andata non è stato poi così male. Ma quando, dopo 20 minuti di bagno era arrivato il momento di iniziare a tornare indietro, pioggia tropicale e vento ci hanno sorpreso, trasformando Fraser Island in Freezer Island.
E così è stato anche per il giorno successivo dove abbiamo fatto il bagno in Champagne Pool, dove le onde del mare schiantandosi contro gli scogli creano una finissima spuma bianca, e nell’Hungover creek, un piccolo fiumiciattolo dove la corrente leggera ti culla, trasportandoti senza accorgerti sotto il tetto altissimo degli alberi (e da qui il soprannome: in inglese l’hungover è il “post-sbronza”). Bellissimi posti sotto la luce del sole, ma rovinati dalle condizioni e dal maltempo, sotto cui il supposto paradiso mi ha fatto persino rimpiangere il nostro Idroscalo.
La seconda mattina a rendere ancora più fantozziana la sfortuna, ci si è messo pure qualcuno che ubriaco fradicio la sera prima, ha avuto la brillante idea di aprire lo sportello posteriore della nostra macchina e vomitarci allegramente dentro, sopra tutti i costumi e asciugamani che avevamo lasciato lì per non portarli, bagnati, nelle tende.
La cosa incredibile è, infatti, che in un’isola selvaggia e comunque con discreti pericoli, l’agenzia che organizza il tour vende, tra gli altri tipi di alcool, cartoni di 4.4 litri di vino “goone” (vino di bassa qualità fatto apposta per sbronzarsi a “costo-zero”) per 12 dollari, nonostante in passato si siano registrati casi di gente che sotto effetto dell’alcool ha defecato nelle tende, vomitato dappertutto, si è allontanato dal campeggio da solo nella notte, tornando mezzo sbranato dai dingos, o di ragazze che diciamo non erano molto coscienti che stavano avendo un rapporto sessuale, a volte con più di una persona. Ma nel nostro gruppo, a dire la verità, l’alcool e la buona compagnia sono stati un buon aiuto per sorridere di ogni disagio e farsi quattro risate, cantare e ballare, perché infondo, nonostante tutto, non si può dire che non abbiamo avuto del good time e dei momenti belli e divertenti.
Non possono dire lo stesso gli sventurati che sono stati condotti scandalosamente sull’isola il giorno dopo, nonostante fosse chiaro che un tornado stava per abbattersi sull’isola e sulla zona circostante e che, come poi si è dimostrato, c’era il rischio di rimanere intrappolati laggiù, senza la possibilità di tonare alla civiltà. Ecco il riassunto di ciò che è accaduto ai più sfortunati: Arrivati al Lago McKenzie (il posto più famoso dell’isola che noi non abbiamo potuto visitare), la macchina si è rotta, i finestrini non si riuscivano più ad alzare, mentre la guida cercava di riparare il danno ha rotto il cartone di goone, e così fradici di pioggia e puzzolenti di vino hanno passato quasi dieci ore bloccati laggiù, prima di raggiungere il campeggio a notte fonda alle nove e mezza di sera, dove, non essendo ancora pronte, si sono pure dovuti montare la propria tenda.

Il peggio però doveva ancora venire. Tornati indietro da Fraser abbiamo realizzato che la pioggia che era caduta copiosa sopra di noi era dovuta ad un ciclone proveniente da nord, dove stava facendo ingenti danni: strade allagate, vento fortissimo, fiumi che straripano, connessione ad internet e rete telefonica saltata.
Avevamo prenotato per oggi, Lunedì 28, la nostra piccola crociera alle Whitsunday, 400 e passa dollari per uno dei posti più belli in assoluto di tutto il continente, ciò che aspettavamo davvero fin dal quando abbiamo lasciato Yarraman.
Il biglietto dice che non è possibile spostare la crociera oltre le 72h e che non si ha diritto a nessun risarcimento.
Ma 72h prima eravamo naufragati su Fraser Island senza alcuna connessione telefonica con il mondo reale e senza sapere nulla del tornado e, tornati indietro (48 ore prima) non avevamo alcuna possibilità di raggiungere Airlie Beach perché bus, treni e aerei erano totalmente bloccati e incapaci di andare verso nord. La risposta è stata praticamente che, nonostante circa il 75% dei backpackers (e non dei milionari!) che dovevano salpare questa mattina non avrebbe fatto in tempo a unirsi all’equipaggio, erano “fatti nostri” e che la barca, siccome al nord splendeva il sole, sarebbe salpata lo stesso e con lei i nostri soldi.

Così ora siamo fermi per 4 giorni in Rainbow beach, il posto peggiore dovete potere rimanere incastrati, perché non c’è assolutamente niente da fare e tra la gente ammassata nelle camere e sui pavimenti del comunity center diciamo che l’atmosfera non è propriamente festiva, ma stressante perché gli autobus cambiano idea di quando passare o meno ogni due ore, con la conseguente fila all’agenzia per riuscire ad assicurarsi un posto.
In tutto questo avrei voluto raccontare che per la prima volta ho cavalcato un’onda sulla tavola da surf, che sono “goofie” perché il mio piede sinistro è il mio back foot, che surfare è una delle cose più divertenti e faticose che si possano provare, ma ora devo staccare perché in 3 giorni sto cambiando il mio autobus e il mio programma di viaggio per la quarta volta: sembra che anche Magnetic Island debba saltare… riusciranno i nostri eroi ad arrivare almeno a Cairns per il 4 Febbraio per la prima immersione nella Barriera Corallina?

P.s.
Autobus prenotato: 1 febbraio Rainbow Beach- Mission beach: 26 ore di viaggio, con 2 ore e mezza di sosta. Il “meglio” deve ancora venire…

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