Il post che segue nasce da una riflessione fatta dopo varie chiacchierate con tanti ragazzi italiani che ho incontrato qui. In questo senso fa parte del racconto di un viaggio. Mi scuso per essere andato leggermente fuori tema, ma non potendo votare, questo è l'unico modo di esprimere la mia opinione...
La politica e la situazione italiana attuale
sono uno dei primi argomenti che saltano fuori ogni volta che qui in Australia
si incontra un qualunque connazionale. E, raccogliendo tutte le opinioni
scambiate in quasi 7 mesi di viaggio, a pochi giorni dal voto sembrano non
esserci dubbi tra i backpackers italiani su chi dovrebbe vincere le prossime elezioni: la
rivoluzione.
Nessuna strada orami, infatti, sembra più
credibile, nessun uomo politico più affidabile. D’altra parte Pd e Pdl già dal
nome rivelano il loro carattere tutt’altro che mellifluo: non sono altro che
abbreviazioni delle più comuni bestemmie della lingua italiana che
attribuiscono a Dio caratteristiche volgarmente suine.
Molti hanno una certa fiducia in Grillo, è vero,
ma infondo pensano che sarà veramente difficile per lui cambiare il sistema.
Così tutti dicono “ci vorrebbe una rivoluzione!”
Dividi
et impera dicevano i saggi latini. Quanto tempo
saremmo disposti a stare uniti tutti insieme in una piazza, lasciando le nostre
case, i nostri lavori, i nostri studi, fermi lì, sotto la pioggia, il vento, la
neve e la tempesta di poliziotti?
Ognuno con il suo lavoro da salvare, la sua
famiglia, i propri esami e i propri interessi, il proprio piccolo angolo
pseudo-felice che bene o male funziona e di cui ci si può accontentare. Quanto
sareste disposti a stare in una piazza, a mettere a rischio il vostro futuro, a
sfidare la prigione o gli occhi severi dei poliziotti con i vostri sogni e le
vostre lacrime?
Si dimostra per un giorno, si manifesta per
qualche ora e poi entro notte si è tutti tranquilli nella propria casetta.
Dall’alto delle finestre del palazzo, mentre voi perdete la salute delle vostre
corde vocali e consumate le suole delle vostre scarpe, ci si abbuffa tranquillamente,
alzando giusto di un poco il volume della televisione, per togliere quel
fastidioso ronzio.
Non dico sia sbagliato pensare al proprio
piccolo, Francia o Spagna purché si
magna! Questa è l’Italia, ciò che ci rende imprevedibili e così diabolicamente
geniali.
Ma esistono rivoluzioni che si fanno in un
giorno?
Danton e Robespierre ebbero per lungo tempo a
che fare coi vecchi sostenitori della monarchia e così gli Statunitensi che
reclamavano la libertà dovettero lottare a lungo con l’Inghilterra. Lenin
combatté contro l’armata bianca, così Franco in Spagna contro gli oppositori e
così Fidel Castro, Mussolini e poi i Partigiani, e speriamo che alcuni di
questi esempi, nonostante i nostalgici, restino dove sono, frammenti di
spazio-tempo lontani, ma sempre lì presenti a ricordarci di che cosa è capace l’“Übermensch”
moderno.
Anche Ghandi, per quanto la disobbedienza
civile e la non violenza costituiscano le vere radici su cui, a mio avviso, si
dovrebbe basare una vera rivoluzione moderna, impiegò anni e anni di fatiche
per raggiungere il suo obiettivo. Tutta gente che non si accontentava di un
modesto presente, ma viveva per un futuro migliore, e così rendeva degno il
presente!
Per esempio: “Il potere è debole a causa della
magistratura”.
Berlusconi ha ragione. Ma è debole nei
confronti della magistratura perché chiunque nel Palazzo (che bel termine
rivoluzionario!) sembra possa trovare un posto comodo comodo nei giri infernali
di una moderna Divina Commedia e non perché i giudici siano di qualche particolare
schieramento politico. La giustizia è strumentalizzata nel senso che è troppo
facile far saltare la poltrona sotto il sedere di qualcuno o creare pressioni usando
la Legge: chiunque sembra poter essere attaccabile perché chiunque sembra aver
un passato con episodi al di fuori della legalità.
Se è vero comunque che come diceva Mussolini
“non bisogna fare di tutta l’erba un fascio”, è pur vero che “fa più rumore un
albero che cade che cento che crescono”, figuriamoci se ne cadono cento e ne
cresce uno solo!
In un caso Grillo aveva ragione: L’Italia è
l’unico posto nel mondo dove i fuorilegge siedono dove si fanno le leggi.
Ma se la politica è davvero così marcia, Noi
allora siamo omertosi. L’omertà non è solo un problema legato alla mafia.
L’omertà regna sovrana sugli italiani in quanto noi vediamo, ma non facciamo
niente, sentiamo, ma poi facciamo finta di non aver sentito, parliamo, ma
sottovoce, che non si sa mai.
Quindi mi chiedo: Chi guiderà allora una
rivoluzione?
Chi guiderà una rivoluzione in un paese dove
chiunque vada al governo deve stipulare patti con la Mafia (questo è il tema di
recenti inchieste giudiziarie), ed è schiavo di un passato al di fuori della
legalità? Chi guiderà una rivoluzione in un paese senza più la possibilità di
produrre la propria moneta e vincolato al macigno del proprio debito pubblico
tra i più alti nel mondo, eterno come il supplizio di Prometeo? Chi guiderà una
rivoluzione nella paura di schiacciare i piedi ai vecchi privilegi, alle logge
massoniche, agli interessi ecclesiastici? Chi guiderà una rivoluzione in un
paese dove la lingua burocratica con cui vengono scritte le leggi e i
referendum viene percepita dai più come cinese o aramaico antico? Chi la
guiderà in un paese dove il giornalismo è politico, dove le domande vengono
concordate prima di ogni intervista, dove chi cerca la verità viene accusato di
diffamazione e dove i giornali diffamano in prima pagina, ancora prima delle sentenze?
Chi la guiderà in uno Stato con leggi più numerose dei cittadini che le rispettano?
Ma chi guiderà la rivoluzione in un popolo
abituato a sentire la verità solo dai comici?
Chi la guiderà in un paese la cui bellezza è
rovinata dalle montagne di spazzatura per le strade, dalla mancanza cronica di
piani di sviluppo credibili e di infrastrutture decenti? Chi guiderà una
rivoluzione tra i milioni di scartoffie burocratiche e statali in esubero
impossibili da licenziare per l’impossibilità dei privati di creare alternativi
posti di lavoro in un paese dove si deve investire 4 per ottenere qualcosa che
potrebbe essere pagato 1? Chi guiderà la rivoluzione in un paese dove i
capitali invece di essere attirati vengono fatti fuggire altrove?
Chi la guiderà in uno Stato dove l’unico modo
per avere un po’ di equità sociale è chiedere a degli uomini di abbassarsi gli
stipendi volontariamente e rinunciare spontaneamente a tutti i privilegi? Tu
che leggi, sinceramente, ti abbasseresti mai lo stipendio da solo? Da uomo
privilegiato, faresti mai tutto ciò che in tuo potere per tornare a essere un
comune cittadino che lavora fino a 70 anni per un briciolo di pensione?
Ma questo è l’unico modo per farlo perché i
referendum sono solo abrogativi, perché si vota e si sa solo quello che viene
fatto votare e viene fatto sapere, nella certezza che gli Stati moderni, se c’è
troppa trasparenza, crollano come l’Unione Sovietica di Gorbaciov.
Chi guiderà quindi la rivoluzione… vale la
pena continuare l’elenco?
A questo punto forse è solo meglio cambiare
domanda: è davvero possibile una rivoluzione?
E soprattutto, abbiamo davvero voglia di fare
una rivoluzione?
Perché la rivoluzione è una cosa seria, richiede impegno, determinazione, forza, costanza...
Non si può iniziare la rivoluzione un giorno e il giorno dopo dire: "scusate ragazzi, sono stanco, torno a casa".
La soluzione dell’italiano è sempre la stessa:
migrare.
Dovunque vai nel mondo, se sei italiano, sei
sicuro di sentirti un pochettino a casa.
Troverai dappertutto, infondo, una pizzeria
italiana “Ciao belli”, “Bella Napoli” o “Da Nino”.
Ma poi ti siedi al tavolo e scopri che nessun
dipendente è italiano, neanche il cuoco, e che nessun ingrediente è italiano:
il parmigiano è made in china, la
mozzarella made in bangladesh e sul
menù compaiono scritte oscene come “Spaghetti alla Bolognaise”. Tanto è stata
la capacità del nostro paese di tutelare l’élite dei nostri prodotti e del
nostro intelletto che ora
un Australiano può dire liberamente: “sono
andato a Napoli e quella non è la vera pizza”.
Non siamo più il paese “mandolino, Pizza,
Amore”, ormai siamo “Italiano bunga bunga!”. L’unica élite che siamo stati in
grado di conservare è quella parassitaria della classe dirigente.
Quindi non solo stiamo marcendo all’interno,
ma anche all’estero.
Capisco bene il perché i figli degli immigrati
italiani, qui in Australia, per il 70% non parlano italiano. Per i genitori
conservare l’italianità dei propri figli era inutile: non c’era motivo di
pensare che un giorno sarebbero potuti tornare. Quanta lungimiranza!
Nella mia camera d’ostello c’era un ragazzo
tedesco. Anche con loro si finisce sempre a parlare di politica. “ Voi siete un
paese che ha tantissime potenzialità e dove la gente vorrebbe investire. Il
problema è che avete tantissime leggi, ma nessuno le rispetta. Questo è il
motivo perché un paese come l’Italia, a mio avviso, è in una situazione così”. Questa penso sia la sintesi che all’estero
fanno del nostro Paese.
E il mondo va avanti in fretta, si evolve,
lancia nuove sfide economiche, sociali, morali, ma noi siamo nelle sabbie
mobili della nostra decadenza.
Siamo stati Francesi, poi Spagnoli, poi
Austriaci, poi Tedeschi, poi Americani, e un giorno saremo Cinesi, non c’è
alcun dubbio.
Ma Italiani lo saremo mai?
Saremo mai un popolo responsabilmente unito,
terroni e polentoni, Pisani e Senesi, in grado di prendere in mano in modo
comune le sorti della nostra bellezza? O continueremo a far finta di niente, a
chiamare democrazia la più pura delle oligarchie, a preferire la raccomandazione
alla forza delle nostre qualità, a vergognarci del nostro paese, a votare il
meno peggio, a disinteressarci dello Stato, a viverlo come un gigantesco
bordello, dove ognuno gode della propria usurata mignotta per qualche minuto, consumando
in essa tutto l’amore e la vitalità che potrebbe dare a una bellissima e unica
moglie?
Votate, ma prima di farlo riflettete. Chi e
cosa state votando e sull’utilità reale del vostro voto, se sia un qualcosa che
realmente può essere definito come scelta, se sia un atto libero con cui
decidete il vostro futuro, o un puro gioco psicologico che vi vincola ancora e
sempre più indissolubilmente al vostro passato.
Infondo, come dicono i saggi indiani, la
consapevolezza è il primo atto verso la guarigione.
(Dedico questo piccolo intervento al mio amico
Federico Figini e a tutti i giovani che si affacciano alla politica, perché
siano e si mantengano qualitativamente diversi dai predecessori che andranno un
giorno, se la moderna scienza non darà la vita eterna ai milionari, a sostituire).
Sognando
una rivoluzione
Ho sognato all'improvviso un grande
silenzio
che copriva tante, troppe parole
di anime immobili, senza manifesti
bastoni o proclami.
La loro spada tagliente
non grondava di sangue
ma di pesante imbarazzo
davanti agli occhi del mondo.
La loro corazza brillava di sogni
era fatta di libri, di suoni, di
canti
la univa la vita, la univa l'Idea:
era tutt'una e niente cedeva.
Erano bianchi come un gregge
ma non eran più pecore.
Che Stato servite, generale?
Non il mio, non il vostro.
Per chi sacrificate le vostre uniche
vite?
Non per voi, non per i vostri figli.
Fu un attimo:
il lupo si sedette di fianco agli
agnelli
e Gerusalemme entrò in Babilonia
scompigliò la torre di carta
e ne fece un castello appeso a una
nuvola.
"Presto, fratello, alzati,
dobbiamo andare!"
"Non oggi, fratello, ho troppo
da fare…"
(G. Masi)