C’è un posto nel mondo dove tutto smette di
parlare, dove ogni suono perde ogni direzionalità e diventa obsoleto, dove il
respiro si amplifica e il corpo diventa improvvisamente leggero. Non sono le
montagne del Tibet, non è il centro della meditazione o dell’essere, ma è
semplicemente il mare.
E dire che quando indossi per la prima volta
la CBD (il giubbottino-salvagente) con la tank di ossigeno a 200 bar sulla
schiena, a bordo piscina, tutto penseresti tranne che ti sentirai leggero. E
quando per la prima volta metti la testa sott’acqua e il respiratore amplifica
il tuo respiro e la maschera lentamente si incolla al tuo viso, schiacciandoti
sempre di più il naso, non penseresti
mai che diventerà così naturale passare un’oretta sommerso in un liquido.
Il diving
fin dalla sua prima e fondamentale regola è basato proprio su questo: non
smettere mai e per nessuna ragione di respirare costantemente. Il perché è
molto semplice: i polmoni sono sacche elastiche che reagiscono all’aumentare
della pressione esterna rimpicciolendosi e al diminuire espandendosi. Il
respiro costante serve, con altri piccoli accorgimenti, come per esempio il non
ascendere più velocemente di 18m al minuto (l’esatta velocità della più lenta
bolla d’aria espirata dalla tua bocca), a fare in modo di evitare la violenta
espansione dei polmoni, che come tutti gli elastici soggetti a una dilatazione
troppo forte e improvvisa, possono subire gravi danni.
Lo si capisce meglio nei piccoli esperimenti
fisici che si fanno nella lezione di deep
diving, nel corso avanzato. Il limite di immersione per il brevetto PADI di
primo livello, open water, è 18m di
profondità. Il corso avanzato ti porta fino a 30m, e per andare oltre, in
teoria, ci vogliono lezioni specializzate che ti portano fino a 40m. 42m
dovrebbe essere il limite per il recreational
diving, oltre ci vogliono attrezzature specializzate e bombole in cui
compare una certa percentuale di elio.
Ecco l’esperimento. A 30 metri di profondità
si porta una bottiglia vuota di plastica e la si schiaccia completamente per
far fuoriuscire tutta l’aria, un po’ come prima di buttarla nel cestino della
spazzatura. Salendo lentamente, la poca aria rimasta inizia a espandersi lentamente,
fino a che, arrivati in superficie, le pareti della bottiglia sono così
dilatate che sembrano essere sul punto di esplodere.
A 30 metri, infatti, la pressione è 3 volte
quella in superficie. Nonostante gli effetti sul corpo in acqua si sentano relativamente,
guardando il proprio barometro che monitora la situazione dell’aria residua, si
può notare che i valori cambiano rapidamente: la stessa quantità che in
superficie durerebbe 60 minuti, a trenta metri ne dura 20. Il fatto di
respirare aria più concentrata porta a due rischi non indifferenti: la narcosi
da ossigeno e l’intossicazione da nitrogen.
La percentuale di gas in una bombola di
subacquea normale è 21% ossigeno e 79% Azoto.
Ad ogni immersione il corpo assorbe una
quantità di Azoto che sotto certe quantità non è dannosa e viene smaltita
dal corpo normalmente in poche ore. Quando però la quantità di nitrogen (questo è il nome inglese) inizia
a diventare elevata, questa viene assorbita dai tessuti e al diminuire della
pressione crea delle bolle pericolose nel circuito sanguigno che possono
causare serie conseguenze. Da qui nasce la necessità di non fare troppe
immersioni consecutive e di cercare di non superare una certa soglia di tempo
chiamata no decompression limit. Per
aiutare l’eliminazione del nitrogeno in eccesso si consiglia alla fine di ogni immersione di
effettuare, prima di terminare una immersione, una safety stop a 5 metri per 3 minuti.
Molto più divertente la narcosi da ossigeno
che, come una droga, porta un certo stato di euforia e di spregio del pericolo.
Molti divers si ritrovano così a
togliere il proprio respiratore dalla propria bocca e cercare di infilarlo in
quella dei pesci, ovviamente con scarsi risultati. Per quanto non sia dannosa
in sé, non essere lucidi sott’acqua comporta molti rischi.
Il diving nonostante non sia considerato uno
sport estremo, è un’attività da svolgere sempre con la testa e con il buddy-system, una specie di mantra
ripetuto milioni e milioni di volte nel corso che significa semplicemente che
bisogna sempre stare vicino al proprio compagno di immersione, in modo da avere
sempre un aiuto a disposizione.
Ma per fortuna l’esperienza non si limita a un
banco di scuola. Queste righe abbastanza pedanti sono state scritte per dare
un’idea dei primi 2 giorni di training: video datati, lezioni teoriche e
piscina, più attenti alla pratica che al divertimento.
Ma appena i tuoi piedi si immergono
nell’oceano….
L’uomo è l’animale marino più strano in
assoluto: produce continuamente una colonna fittissima di bolle, ha due pinne
gigantesche solo sulla coda, un corpo sottile e due enormi occhi di vetro. Così
dobbiamo apparire là sotto, suscitando a volte curiosità, a volte paura, a
volte aggressività da parte dei normali inquilini, a cui ci dimentichiamo
sempre di chiedere permesso. Ma al contrario di ciò che si pensa nella barriera
corallina gli squali hanno paura dell’uomo, mentre i piccoli clownfish Nemo,
invece, nonostante passino gran tempo a nascondersi dentro i coralli anemoni
(da qui prendono la loro appartenenza agli Anemoni Fish) se si indispettiscono,
diventano aggresivi e iniziano a tirare testate contro le maschere dei sub.
Anche i pesci pappagallo sono abbastanza
ostici se uno entra nel loro territorio, ma a parte attaccarsi alla pinne, mordicchiando
la loro plastica, non rappresentano una vera minaccia.
Il mondo marino è infondo un posto dove ognuno
si fa un po’ i fatti propri, girovagando qua e là, sgranocchiando a volte
qualche corallo per succhiarne l’alga che ne vive all’interno in simbiosi,
oppure sdraiandosi comodi comodi come le tartarughe marine, aspettando che i
piccoli pesciolini-spazzino, con un po’ di solletico, ti ripuliscano meglio dei
fanghi o delle maschere di bellezza di una Spa. Se ci si avvicina lentamente e
ci si lascia trattare, si può anche avere una perfetta manicure gratis!
Che belle le tartarughe marine! Animali così
eleganti e pacifici, con il loro sguardo severo e il loro incedere lento di chi
ha la saggezza di conoscere la longevità assoluta della propria vita. C’è chi
racconta di averle cavalcate, aggrappate al loro guscio. Per le dimensioni di
alcune sarebbe assolutamente fattibile, ma il problema è acchiapparle: l’uomo è
di gran lunga troppo lento in acqua.
E poi perché affrettarsi?! Il modo migliore
per vedere un sito, per godersi la vita, i colori, i milioni di avvenimenti che
prendono luogo in quel silenzioso angolo di paradiso è fermarsi, congiungere le
mani al petto e sbattere le pinne giusto per non finire orizzontali.
Così facendo se non altro si consumerà meno
aria e l’aria lì sotto è uguale al tempo, e il tempo, mai come là sotto, è oro.
Il respiro governa ogni incedere. Dopo aver
trovato la tua buoyancy (cioè il tuo
equilibrio di galleggiamento, la cosa più difficile da imparare), infatti, se
si vuole andare un po’ più in basso basta soltanto espirare più forte. Tutto
sta nel trovare il giusto equilibrio, trovare il modo di essere il più vicino
possibile, senza franare addosso alle montagne di coralli.
Nelle tantissime emozioni provate in quei 3
giorni di viaggio in barca la cosa più elettrizzante è stata sicuramente
l’immersione notturna.
Nick de Gabriele (che altro nome poteva avere
il mio istruttore!) aveva fatto spegnere tutte le luci della cabina e ci stava
mostrando i piccoli stick di plastica fosforescenti che dovevamo legare alla
nostra bombola per fare in modo di essere sempre visibili nell’oscurità. Noi
sei, tutti alla prima immersione notturna, eravamo lì intenti ad ascoltare le
istruzioni.
“Procederemo a coppie, io davanti aprirò la
fila e vi farò da guida. Ora è assolutamente sicuro che vedremo degli squali.
Mi raccomando state uniti. Di solito sono animali tranquilli, ma può accadere
che inizino a diventare territoriali e allora potrebbero attaccare”. Ci
guardammo tutti negli occhi, le palpebre dilatate dal brivido di paura.
“Gli squali di solito hanno paura del gruppo,
ma attaccano i singoli. Cosa fare se qualcuno riceve un attacco da uno squalo?
Prima di mordere loro ti colpiscono con le loro pinne di per cercare prima di
allontanarti (“Che gentili, eh!”). Se qualcuno dovesse venrie attaccato da uno
squalo lo faccia subito presente e sopravanzi la fila in modo da ritrovarsi in
mezzo al gruppo”. La faccia di tutti da emozionata si era trasformata in quella
tipica di “chi me l’ha fatto fare!”
“Ma gli squali, purtroppo, prendono di mira e
se iniziano ad attaccare qualcuno, di solito, lo selezionano come target
privilegiato. Quindi se venite attaccati per la seconda volta, ci metteremo
tutti in formazione, creando un cerchio protettivo per il malcapitato. Se
dovesse attaccare per la terza volta e la situazione si facesse così
pericolosa, allora io accompagnerò subito, immediatamente, la persona in
superficie. Chiaro?”
Gulp. Chiaro sì, ma in acqua, al buio,
attaccato da uno squalo. Qualcuno rideva nervosamente cercando di allentare la
tensione, qualcuno iniziava a divorarsi le unghie, io guardavo gli stick
fluorescenti cercando nella mia mente di ripassare le contromosse che ci erano
ancora state spiegate, pianificando un modo per non rimanere mai l’ultimo della
fila.
“Ora, “concluse Nick “ mi sembra chiaro che
quello che ho detto sono tutte balle!”
E in effetti, per quanto l’acqua fosse piena
di squali attirati dai pesci che si erano radunati attorno alla luci della
barca, siamo stati letteralmente snobbati. C’è da dire che gli squali grigi della
barriera corallina, per quanto i più lunghi arrivino a 3 metri e per l’effetto
ottico di ingrandimento in acqua assumono dimensioni considerevoli, sono solo i
piccoli cuginetti dei grandi white sharks, assenti in queste acque troppo calde
per loro. (Se li volete trovare dicono che La Manica ne sia piena, in quanto la
temperatura per loro ideale è di 17 gradi. Qui eravamo in media a 29). Ma la
prima volta che sei in acqua con un branco di squali affamato a pochi metri che
rincorrono veloci come saette le loro prede, una famosissima musichetta di due
note intervallate da un semitono ti fa correre i brividi lungo la schiena e ti
sento tutto, fuorché al sicuro.
Impressioni della mente, come la lattina di
Coca-Cola che perde il suo colore rosso, diventando blu scuro nella profondità
del mare: i colori, infatti, spariscono progressivamente con l’aumentare della
profondità, e il rosso ne è la prima vittima. Là sotto funziona all’incontrario:
colore non è sinonimo di bellezza, ma di veleno e di pericolo, ed è una mera
questione di sopravvivenza e non di estetica a fornire alla vita subacquea dei
primi 30 metri la sua proverbiale bellezza.
FOTO: http://www.facebook.com/media/set/?set=a.313193598783484.50577.294967610606083&type=3
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