Ci sono angoli del mondo che sono unici. Il Kimberley è uno di quelli.
Terra ancora considerata “aborigena” con i suoi fiumi e le sue rocce sacre,
oggi come oggi è sempre più meta dei veicoli fuoristrada delle migliaia di
turisti che percorrono il Gibb River da Debry a Kunnunara, all’estremità del
deserto dove le piene della Wet season ricordano ogni anno l’antico oceano che
milioni e milioni di anni fa copriva tutta questa terra.
Bungle Bungle allora era sotto il mare, traccia di una antica barriera
corallina che oggi per l’erosione del vento e del tempo appare solo un decimo della sua originale
grandezza, ma tanto basta per impressionare.
Lasciando la strada principale a un centinaio di chilometri da Halls
Creek, dopo aver percorso circa un’ora e mezza abbondante di fuoristrada, un
massiccio roccioso imponente, il cui rosso violento contrasta con l’azzurro
pastello del cielo, spunta come dal nulla nella distesa del parco nazionale di
Purnululu.
A nord le pareti compatte si aprono come fessure in un sipario in
piccole gole dove le palme dai busti sottili si arrampicano fino a crescere in
posti impossibili per gravità e per disponibilità di spazio. Questi sentieri
che si fanno largo a fatica tra le rocce sono luoghi che conservano ancora la
loro sacralità per le tribù aborigene locali: infondo a Mini-Palm, per esempio,
una piccola grotta si incunea nella dura roccia, a forma palesemente di organo
sessaule femminile. Lì le donne aborigene andavano a partorire e non è difficile
ipotizzare che la misticità del luogo nasca appunto dalla particolare forma
della roccia, per la quale, su un piano simbolico, il bambino non nasce dal
ventre della donna, ma dalla Madre terra.
Il lato sud, invece, è totalmente diverso ed è chiamato “l’alveare” per
tutte quelle piccole cupole incasellate una vicina all’altra, scultura e
architettura, come al solito, difficilmente raggiungibile da mano umana. Lì ha
lasciato le sue magnifiche tracce nella roccia e nel suo letto Piccaninny
creek, un fiume che ancora oggi scorre durante la stagione delle piogge,
asciugandosi rapidamente non appena il sole di fine Aprile appare alto nel
cielo.
Bungle Bungle è lo spettacolo artistico del fenomeno naturale
dell’erosione, niente di più: dall’anfiteatro naturale di Cathedral Gorge, dove
a Luglio si tiene anche un concerto di Digeridoo, alle finestre naturali nella
roccia da cui si può ammirare lo spettacolo della valle, dalle onde di rocce
che compongono il letto del fiume, alle tracce delle cascate, entrambi immobili
nel tempo, aspettando di prendere vita al ritorno della pioggia.
Laggiù ci sono arrivato con una organizzazione
di volontariato ecologico, Conservation Volunteers, che organizzava un progetto
di dieci giorni (4 di viaggio e 6 di lavoro effettivo nel parco, tanto ci si
mette con il pulmino 4x4 a percorrere i quasi 800 chilometri di distanza da
Broome) nel parco nazionale in aiuto dei Rangers locali.
A questo viaggio però, stranamente secondo
l’organizzazione, avevano aderito solo 4 persone su 13 posti disponibili: Erin,
la capogruppo dell’associazione, Tom, un atletico e incredibilmente volenteroso
vecchietto di 72 anni alla sua terza avventura a Purnululu, e Philipp, un
diciottenne tedesco appassionato di hiking e futuro veterinario, in Australia
per il proprio gap year.
A noi si è aggiunto Steve, il ranger locale,
con il suo passo azzoppato e il suo umorismo, in lunghissime passeggiate per
tutti i sentieri del parco, aperti e non aperti ancora al pubblico, per un
lavoro di vitale importanza: cambiare il colore dei cartelli e delle frecce che
indicano i tracciati!
Tutto il mondo infondo è paese e così il
dipartimento per la salvaguardia dei parchi nazionali del Western Australia pur
non avendo fondi illimitati ha deciso di spendere un milioncino di dollari o
qualcosa di più per cambiare tutta la segnaletica nei parchi da bianco su
sfondo arancione a bianco su sfondo nero, obbligando anche a riverniciare tutti
i pali, paletti e cartelli dal vivace arancione al triste grigio.
Un problema abbastanza serio, invece, riguarda
la fauna locale. L’importazione di piante e animali in Australia sta causando
diversi problemi ai fragili ecosistemi e alle fragile colture soprattutto di
stati come il Western Australia. Ma nonostante i vari controlli e i vari sforzi
che si producono nel cercare di mantenere organismi non indigeni lontano dai
confini dello Stato ci sono piccole cose terribilmente pericolose che sfuggono
al controllo.
E’ il caso delle Cane todds, rospi bruttissimi
importati dal Sud America verso il Queensland e che ora a poco a poco,
balzellando qua a là, stanno divampando in tutto il continente.
Il problema di questi esseri abbastanza
bruttini è la loro ghiandola velenosa sulla schiena, alla base del collo, che
costituisce la loro difesa verso i predatori, o meglio la loro “vendetta”: una
volta ingurgitati, infatti, il veleno comincia a fare effetto fino a uccidere
la vittima-carnefice.
Questo è davvero un problema per serpenti e
uccelli abituati a fare scorpacciate di rospi e ranocchi.
Per ora non ci sono rimedi efficaci, in quanto
l’uso di veleni chimici ucciderebbe anche l’innocente flora locale, rischiando
di inquinare anche il suolo, e così ogni turista è chiamato ad una “caccia al rospetto”,
senza alcun premio se non un po’ di divertimento.
Il visitor centre fornisce delle pratiche
buste di plastica con tanto di guanti e vademecum su come riconoscere gli
invasori alieni. Le todds catturate vengono poi messe in un piccolo frigorifero
dove dolcemente si addormentano per poi non risvegliarsi mai più in una
tranquilla eutanasia.
E così tutte felici e contente restano le
ranocchie verdi, che vivono nella pozza d’acqua del water, spaventando chiunque
si sia alzato nel bisogno nel buio della notte e le mucche scappate dalle farm
circostanti che pascolano allegramente in libertà, fino a che i rangers, non
convenendo ai farmer di venire a riprenderle, le uccidono per il barbeque
settimanale.
Il modo particolare in cui gli aborigeni
conservano ancora oggi la carne è molto tradizionale. Ucciso e scuoiato l’animale,
la carne non viene messa in frigorifero, ma viene appesa durante la notte,
quando le mosche sono a dormire, e con l’umidità si crea una crosta sottile.
Grazie a questa, che la ripara dagli attacchi degli insetti, la carcassa viene
lasciata appesa per tutto il giorno successivo ed è pronta per essere cucinata.
Non lasciando il tempo ai nervi per rilassarsi,
il beef di Bungle Bungle resta così duro e difficile da masticare, e richiede
una cottura veloce, al sangue, oltre che una mascella preparata, ma mantiene un
sapore tutto suo.
E così dopo 7 mesi da Coonabarabran, eccomi
attorno ad un altro bellissimo falò, sotto la scia della via lattea, con una
bistecca-chewingum e un altro posto incantato da portarmi nel cuore. E domani
si parte per il viaggio lungo la West Coast!