giovedì 16 maggio 2013

Jurassic Park


Ci sono angoli del mondo che sono unici. Il Kimberley è uno di quelli. Terra ancora considerata “aborigena” con i suoi fiumi e le sue rocce sacre, oggi come oggi è sempre più meta dei veicoli fuoristrada delle migliaia di turisti che percorrono il Gibb River da Debry a Kunnunara, all’estremità del deserto dove le piene della Wet season ricordano ogni anno l’antico oceano che milioni e milioni di anni fa copriva tutta questa terra.
Bungle Bungle allora era sotto il mare, traccia di una antica barriera corallina che oggi per l’erosione del vento e del tempo  appare solo un decimo della sua originale grandezza, ma tanto basta per impressionare.
Lasciando la strada principale a un centinaio di chilometri da Halls Creek, dopo aver percorso circa un’ora e mezza abbondante di fuoristrada, un massiccio roccioso imponente, il cui rosso violento contrasta con l’azzurro pastello del cielo, spunta come dal nulla nella distesa del parco nazionale di Purnululu.
A nord le pareti compatte si aprono come fessure in un sipario in piccole gole dove le palme dai busti sottili si arrampicano fino a crescere in posti impossibili per gravità e per disponibilità di spazio. Questi sentieri che si fanno largo a fatica tra le rocce sono luoghi che conservano ancora la loro sacralità per le tribù aborigene locali: infondo a Mini-Palm, per esempio, una piccola grotta si incunea nella dura roccia, a forma palesemente di organo sessaule femminile. Lì le donne aborigene andavano a partorire e non è difficile ipotizzare che la misticità del luogo nasca appunto dalla particolare forma della roccia, per la quale, su un piano simbolico, il bambino non nasce dal ventre della donna, ma dalla Madre terra.
Il lato sud, invece, è totalmente diverso ed è chiamato “l’alveare” per tutte quelle piccole cupole incasellate una vicina all’altra, scultura e architettura, come al solito, difficilmente raggiungibile da mano umana. Lì ha lasciato le sue magnifiche tracce nella roccia e nel suo letto Piccaninny creek, un fiume che ancora oggi scorre durante la stagione delle piogge, asciugandosi rapidamente non appena il sole di fine Aprile appare alto nel cielo.
Bungle Bungle è lo spettacolo artistico del fenomeno naturale dell’erosione, niente di più: dall’anfiteatro naturale di Cathedral Gorge, dove a Luglio si tiene anche un concerto di Digeridoo, alle finestre naturali nella roccia da cui si può ammirare lo spettacolo della valle, dalle onde di rocce che compongono il letto del fiume, alle tracce delle cascate, entrambi immobili nel tempo, aspettando di prendere vita al ritorno della pioggia.

Laggiù ci sono arrivato con una organizzazione di volontariato ecologico, Conservation Volunteers, che organizzava un progetto di dieci giorni (4 di viaggio e 6 di lavoro effettivo nel parco, tanto ci si mette con il pulmino 4x4 a percorrere i quasi 800 chilometri di distanza da Broome) nel parco nazionale in aiuto dei Rangers locali.
A questo viaggio però, stranamente secondo l’organizzazione, avevano aderito solo 4 persone su 13 posti disponibili: Erin, la capogruppo dell’associazione, Tom, un atletico e incredibilmente volenteroso vecchietto di 72 anni alla sua terza avventura a Purnululu, e Philipp, un diciottenne tedesco appassionato di hiking e futuro veterinario, in Australia per il proprio gap year.
A noi si è aggiunto Steve, il ranger locale, con il suo passo azzoppato e il suo umorismo, in lunghissime passeggiate per tutti i sentieri del parco, aperti e non aperti ancora al pubblico, per un lavoro di vitale importanza: cambiare il colore dei cartelli e delle frecce che indicano i tracciati!
Tutto il mondo infondo è paese e così il dipartimento per la salvaguardia dei parchi nazionali del Western Australia pur non avendo fondi illimitati ha deciso di spendere un milioncino di dollari o qualcosa di più per cambiare tutta la segnaletica nei parchi da bianco su sfondo arancione a bianco su sfondo nero, obbligando anche a riverniciare tutti i pali, paletti e cartelli dal vivace arancione al triste grigio.

Un problema abbastanza serio, invece, riguarda la fauna locale. L’importazione di piante e animali in Australia sta causando diversi problemi ai fragili ecosistemi e alle fragile colture soprattutto di stati come il Western Australia. Ma nonostante i vari controlli e i vari sforzi che si producono nel cercare di mantenere organismi non indigeni lontano dai confini dello Stato ci sono piccole cose terribilmente pericolose che sfuggono al controllo.
E’ il caso delle Cane todds, rospi bruttissimi importati dal Sud America verso il Queensland e che ora a poco a poco, balzellando qua a là, stanno divampando in tutto il continente.
Il problema di questi esseri abbastanza bruttini è la loro ghiandola velenosa sulla schiena, alla base del collo, che costituisce la loro difesa verso i predatori, o meglio la loro “vendetta”: una volta ingurgitati, infatti, il veleno comincia a fare effetto fino a uccidere la vittima-carnefice.
Questo è davvero un problema per serpenti e uccelli abituati a fare scorpacciate di rospi e ranocchi.
Per ora non ci sono rimedi efficaci, in quanto l’uso di veleni chimici ucciderebbe anche l’innocente flora locale, rischiando di inquinare anche il suolo, e così ogni turista è chiamato ad una “caccia al rospetto”, senza alcun premio se non un po’ di divertimento.
Il visitor centre fornisce delle pratiche buste di plastica con tanto di guanti e vademecum su come riconoscere gli invasori alieni. Le todds catturate vengono poi messe in un piccolo frigorifero dove dolcemente si addormentano per poi non risvegliarsi mai più in una tranquilla eutanasia.
E così tutte felici e contente restano le ranocchie verdi, che vivono nella pozza d’acqua del water, spaventando chiunque si sia alzato nel bisogno nel buio della notte e le mucche scappate dalle farm circostanti che pascolano allegramente in libertà, fino a che i rangers, non convenendo ai farmer di venire a riprenderle, le uccidono per il barbeque settimanale.
Il modo particolare in cui gli aborigeni conservano ancora oggi la carne è molto tradizionale. Ucciso e scuoiato l’animale, la carne non viene messa in frigorifero, ma viene appesa durante la notte, quando le mosche sono a dormire, e con l’umidità si crea una crosta sottile. Grazie a questa, che la ripara dagli attacchi degli insetti, la carcassa viene lasciata appesa per tutto il giorno successivo ed è pronta per essere cucinata.
Non lasciando il tempo ai nervi per rilassarsi, il beef di Bungle Bungle resta così duro e difficile da masticare, e richiede una cottura veloce, al sangue, oltre che una mascella preparata, ma mantiene un sapore tutto suo.
E così dopo 7 mesi da Coonabarabran, eccomi attorno ad un altro bellissimo falò, sotto la scia della via lattea, con una bistecca-chewingum e un altro posto incantato da portarmi nel cuore. E domani si parte per il viaggio lungo la West Coast!

Nessun commento:

Posta un commento