Quasi all’estremità della costa occidentale dell’immensa Australia c’è
una piccola penisola che è circondata dalle onde azzurrissime di un mare che
nasconde una preziosa ricchezza. Broome fino a qualche anno fa era una delle
capitali mondiali dell’industria delle perle. Oggi in città sono rimaste solo
due grandi farms. Un’altra è a qualche centinaio di chilometri a nord, nello
sperduto Cape Laveque, altre ancora si sono spostate verso Darwin.
Nonostante questo Broome continua, in “inverno”, a moltiplicare la sua
popolazione di quasi 1/3 richiamando un gran numero di turisti e di backpackers
che trovano abbastanza facilmente e con ottimi salari un impiego nel settore
dell’hospitality, nei negozi o nei supermercati che necessitano di manodopera
aggiuntiva per la stagione secca da Aprile-Maggio fino ad Ottobre.
Io potevo essere uno di questi se ormai non mi restassero meno di 3
mesi di visto e se i miei piani per il momento non fossero stati quelli di
viaggiare un po’. Infatti mai lavoro fu trovato più rapidamente e in modo più
fortunato.
Premetto che quando dico che è facile per un backpacker trovare lavoro
non intendo assolutamente dire che a tutti è capitata una chance simile alla
mia, infatti molti aspettano anche due settimane prima di trovarne uno.
Comunque questa è la storia.
Arrivato in città alle 6 del mattino dopo le mie 37 ore di pullman ho
trovato alloggio con i miei due compagni di disavventura, una ragazza giapponese
e un ragazzo tedesco, al KK Hostel, non molto lontano dal centro città che,
incredibile, ma vero, è Chinatown.
Saki, la ragazza giapponese, era venuta a Broome solo per vedere lo
spettacolo della luna di perla che sorge dal mare. Quella Domenica di fine
Aprile era l’ultimo giorno del primo ciclo lunare dell’anno in cui si poteva
osservare questo particolare fenomeno, che insieme al magico tramonto in
cammello di Cable Beach, costituisce la principale attrazione della cittadina.
Io non ero assolutamente a conoscenza di entrambi e ho potuto godermeli per una
pura coincidenza.
Come Steven, l’altro ragazzo tedesco, arrivavo a Broome con la speranza
di trovare un lavoro nel pearling, guidato
dalle notizie in internet e dai passaparola, alla ricerca di un facile e ben
pagato impiego. Invece oggi giorno essere assunti in una compagnia non è
assolutamente facile e richiede molta pazienza e anche un pizzico di fortuna,
soprattutto perché praticamente tutti vengono qui con la stessa aspettativa e
lo stesso obbiettivo.
Erano circa le 4 del pomeriggio e ci stavamo incamminando verso la
fermata dell’autobus per prendere l’autobus per Cable Beach dove il famoso
tramonto ci aspettava per le 5 e poco più del pomeriggio. Ero tornato un attimo
a prendere la macchina fotografica in camera, quando passando di fianco alla
reception, proprio in quel preciso istante, una voce al microfono ha detto:
“chiunque voglia un lavoro per la prossima settimana si cercano tre ragazzi
alla reception”. Tutto ciò che ho dovuto
fare è girare di 90 gradi i miei piedi e alzare la mano. Nel giro di 2.5
secondi i posti erano già esauriti.
Un signore magrolino, coi baffi a spazzola e il cappello alla
Australiana stava in piedi tranquillamente aspettando di parlare con noi.
Dereck è il gestore del Broome Turf Racing Club, lo stadio ippico dove da
Giugno a Settembre si svolgono numerosissime corse di cavalli, una passione che
da Est a Ovest, da Nord a Sud resta immutata nello spirito nazionale.
La grande tenuta doveva essere pulita e messa in ordine prima della
nuova stagione e così si cercava manodopera in più per raccogliere le milioni
di foglie che sommergevano le strade e le stalle. “Un paio di giorni di lavoro”,
ma poi si sa, gli Australiani dicono sempre così perché prima vogliono testare
il modo di lavorare delle persone. Così ad una prima occhiata era ovvio che ci
sarebbe stato lavoro almeno per tutta la settimana.
Non mi aspettavo un grande salario e così quando Dereck ci ha proposto
20 dollari all’ora ero già più che felice. Ma per fortuna era lì con noi Francesco,
un ragazzo italiano che, arrivato a Broome da un pochettino più di tempo di me,
sapeva più o meno la media degli
stipendi in WA, che senza troppe difficoltà è riuscito a farci alzare la paga a
25.
Devo dire che ci sono abbastanza rimasto. 25 dollari per raccogliere
foglie. Come qualcuno da casa mi ha scritto “Amsa di lusso!”. Certo il caldo a
36 gradi e le mezzore di pedalata la mattina per arrivare al lavoro non
rendevano il lavoro facile, ma spesso ci trovavamo all’ombra degli alberi e i
ritmi erano tutt’altro che infernali.
Così ho sfruttato al massimo la mia settimana lavorando anche il Sabato
e la Domenica mattina, nonostante la bellissima festa notturna in spiaggia del
fine settimana a Cable Beach.
Sotto una bellissima stellata, uno spettacolare falò bruciava come il
vino e l’alcol che scorreva a fiumi in ognuno, mischiando il suo rosso a quello
del sangue. Una cassa riempiva il silenzio con la musica e ognuno ballava nei
più disparati modi inimmaginabili e qualcuno, venuto diretto dal toga party
dell’ostello, si spogliava dei lenzuoli bianchi, alimentando con essi il fuoco,
e rimaneva nudo, senza pudore né tanto meno vergogna.
Ma la vera particolarità del nostro posto di lavoro era che era a 2
minuti dal mare e da Gautame point, una piccola e spettacolare insenatura di
rocce, trampolino perfetto per degli spettacolari tuffi da 6 metri circa di
altezza. E’ tutta un’altra vita quando invece dell’onda di sudore bollente
della metropolitana ti ritrovi sulla pelle quella del mare.
E così alla fine le ore diventano leggere come le foglie che
raccoglievamo nel meraviglioso conto alla rovescia che ci separava dal relax di
quella limpida piscina.
Da Gautame point si poteva vedere in lontananza Cable Beach, la lunghissima
spiaggia bianca dove la prima sera ho goduto dell’emozione di quel bellissimo
tramonto che riflesso sulle rocce naufragate sulla sabbia sembrava essere sulla
superficie della luna. Nulla a che vedere con la violenza dei tramonti di Cape
York. Sfumature leggere di rosa e arancione si perdevano nell’orizzonte
accarezzando la pelle dei cammelli che passeggiavano in fila indiana
trasportando sulle loro gobbe una ventina di turisti.
Dall’altra parte della città a Town Beach, a oriente, alle 7.54 avevamo
appuntamento con la luna. E così dopo non appena il buio è iniziato a calare
abbiamo ripreso l’autobus per la solita modica cifra di 4 dollari a biglietto.
Puntuale, davanti a qualche centinaio di occhi e ai noiosissimi bip bip
delle macchine fotografiche, una informe e stiracchiata luna emergeva rossa
all’orizzonte disegnando a poco a poco una scia sull’oceano, come una stairway to heaven, e nell’alzarsi nel
cielo recuperava lentamente una certa sfericità, come la pasta della pizza di
un pizzaiolo.
Ci sarebbero libri da scrivere sui ragazzi-viaggiatori che ho
incontrato in una settimana, gente da tutte le parti del mondo, ognuno con una
sua piccola grande storia, da chi vuole cavalcare il deserto della mongolia a
chi a 30 anni si gioca l’ultima chance di trovare uno sponsor per non tornare a
casa, da chi, per non pagare l’ostello, si mimetizza di notte a dormire in
macchina nel bush australiano a chi ha lasciato casa e lavoro 4 anni fa e ha
girato un po’ il mondo e ora inizia a cercare un senso più profondo alla
propria vita e uno scopo.
E se alzi un po’ lo sguardo noti come a Broome non ci siano piccioni. Al posto loro volano i falchi…
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