martedì 7 agosto 2012

My horror (part II)


To give you more details about the house, it’s a beautiful, huge residence. You can see a few pictures here-
Mi fermai un attimo davanti al cancelletto della rete metallica che circondava la proprietà. Si intravedeva una ragazza bionda alla finestra del secondo e ultimo piano nella torretta a sinistra. Il balcone che proseguiva di fianco restava invece in penombra facendo solo intravedere le fini decorazioni della balaustra bianca. Fermo lì fuori, con un pacchetto di tortine alla confettura di strawberry appena comprate al supermercato per non fare la figuraccia di presentarmi a mani vuote e per ingraziarmi la mia nuova futura padrona di casa, aspettai circa tre-quattro minuti di modo che l’sms “I’m arriving in knox street right now, is it ok?”, potesse avere una risposta affermativa.
My number is 04………. Please do not call me; just send me an SMS as to when you can come and I’ll send you the address.
Avevo ansia. Il giardino totalmente spoglio. La finestra in alto si era spenta e solo una fioca luce di una piccola lampada a lanterna all’ingresso illuminava l’abitato. Se ci fosse stato un temporale, in quel momento, sarebbe stata l’ambientazione perfetta per Red Rose di Stephen King. Di fianco alla porta d’ingresso bianca, tipica di una casa in mattoni rossi come quella, il campanello era rotto. Così bussai due o tre volte.
-Hi, this is Gabriele, the guy that mailed you for the accomodation. I can come to see the house this evening. Can you send me your address, pls? Kind regards. G. (inviato Lun @ 09:20)
-Um its not a house inspection thanks (ricevuto Lun @ 09:22)
Una ragazza alta e bionda, con il viso bianchissimo e molto smorto, mi ricordava un po’ l’immagine che i giornali davano di Michael Jackson circa un mese prima dell’annuncio della sua morte. E in effetti la vita scorreva così frizzante in lei just like nel bellissimo cimitero inglese sul mare tra Coogee Beach e Bondi Beach. Il suo tono di voce era bassissimo, la sua espressione glaciale e totalmente impassibile, i suoi occhi si muovevano molto lentamente, squadrandomi dall’alto in basso in una maniera così fredda e distaccata da mettere totalmente in suggestione. Chiuse la porta alle mie spalle e senza dire niente entrò nella sala alla sua sinistra e si sedette sul divano.
“Put there your stuff” e mi indicò un angolino per terra di fianco alla porta.
Appoggiai il mio zaino, dentro cui avevo portato il computer e la macchina fotografica, rispondendo a fatica al suo sguardo e alle sue parole, preso da uno strano senso di spaesamento e di una sensazione uncomfortable. Un po’ goffamente, biascicai qualche parola, mostrandogli le tortine. Le guardò malissimo. E solo coi suoi occhi fece cenno di appoggiarle insieme alle mie robe, che non erano cose che le interessavano e che eravamo lì per tutt’altro che per mangiare.
“Have you got your own camera?”
Avevo con me una piccola Fuji non di altissima qualità, anzi, sicuramente neanche nell’average delle macchine utilizzabili per fare anche lavori semplici di fotografia. Non ci fu bisogno comunque di tirarla fuori. Le bastò il mio timido yes. Mi ero chiesto per tutto il tragitto se fosse stata o meno necessaria, se lei avesse già tutto il materiale occorrente per il lavoro. Comunque sia mi feci un po’ coraggio e chiesi dove potessi trovare una plug per caricare il mio portatile, in modo da poter iniziare a lavorare. 

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